Non sono bastate le continue denunce di Amnesty International o le manifestazioni di Friends of the Earth. Le Nazioni Unite daranno ragione a Shell. Al termine di un’indagine durata tre anni, la compagnia petrolifera anglo-olandese, accusata di contaminare da oltre 40 anni il delta del fiume Niger in Nigeria, sarà molto probabilmente esonerata da ogni responsabilità.
Lo studio per appurare il coinvolgimento di Shell nell’inquinamento del delta è stato svolto dall’UNEP (United Nations Environment Programme), l’agenzia ambientale dell’Onu, e sarà disponibile entro l’inizio del 2011. Ma la settimana scorsa, a Ginevra, Mike Cowing, il funzionario delle Nazioni Unite che ha guidato il progetto, ha dato alla stampa alcune anticipazioni. Che non sono piaciute per niente agli abitanti della regione e ai movimenti ambientalisti. “Le fuoriuscite di petrolio conosciute sono circa 300” – ha dichiarato Cowing – ma per il 90% sarebbero da imputare al “sabotaggio delle gang locali”, che cercano di rubare il greggio per rivenderlo illegalmente e finanziarsi. La Shell sarebbe responsabile solo di una minima parte dell’inquinamento: non più del 10% del totale.

“I dati usati dell’UNEP non sono attendibili”, ha subito dichiarato Amnesty International. “Fanno riferimento alle statistiche delle autorità nigeriane, che utilizzano i numeri forniti dalle stesse società petrolifere”. L’UNEP ha ribattuto spiegando che la ricerca non è ancora conclusa e che “la raccolta di campioni di acqua, terra, sedimenti, aria, tessuti animali e vegetali finirà nell’ottobre del 2010, per poi procedere con le “analisi di laboratorio”. Il rapporto finale sarà presentato al governo nigeriano e alle parti interessate nel 2011.
C’è ancora una piccola speranza per i popoli del Delta? Sembra di no. Anche perché la ricerca, che è costata oltre 10 milioni di dollari e ha visto impegnati circa 100 funzionari dell’Onu, è stata interamente finanziata da Shell.

“La valutazione delle Nazioni Unite è stata pagata da Shell, quindi non siamo sorpresi che dia la versione dei fatti della compagnia”, ha dichiarato il nigeriano Nnimmo Bassey, storico attivista per i diritti delle popolazioni del delta e oggi presidente internazionale dell’ong ambientalista Friends of the Earth. “Noi sappiamo che la verità è un’altra: la responsabilità per le perdite di petrolio è in gran parte delle compagnie petrolifere. Lo dicono le nostre rilevazioni e il continuo monitoraggio delle fuoriuscite da parte delle comunità locali. Se l’UNEP chiedesse aiuto alle comunità eviterebbe di cadere nella trappola dei dati diffusi dalle multinazionali”.
Mike Cowing, intervistato dal quotidiano inglese The Guardian, si difende dalle accuse, spiegando che il finanziamento da parte di Shell “è corretto e risponde al principio, universalmente accettato, in base al quale chi inquina paga”. L’ipotesi che Shell stia esercitando indebite pressioni sull’inchiesta delle Nazioni Unite non è però da sottovalutare. In effetti, il gigante petrolifero anglo-olandese non vede l’ora di uscire dalle controversie nigeriane, considerate troppo dannose per la reputazione, ma anche per la salute finanziaria della società.

L’anno scorso il presunto coinvolgimento della compagnia in “abusi dei diritti umani” nei primi anni novanta (che avrebbero portato all’esecuzione dell’attivista Ken Saro-Wiwa) è già costato a Shell 15,5 milioni di dollari, versati al Dipartimento di Giustizia di New York a titolo di patteggiamento. La società petrolifera, che si è sempre dichiarata innocente, potrebbe presto dover rispondere di altre responsabilità. Stavolta davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia: nel 2008 un gruppo di pescatori e contadini nigeriani, con l’aiuto di Friends of the Earth, ha sporto denuncia al tribunale dell’Onu per i danni causati dalle perdite di petrolio ai raccolti e alla pesca. La prima udienza è fissata per la fine del 2010.

Intanto, nel giugno del 2009 un rapporto di Amnesty International (scaricabile qui) ha messo ancora una volta in evidenza le responsabilità delle compagnie petrolifere nella devastazione del delta del Niger. “Almeno 2.000 siti dovrebbero essere bonificati”, si legge nel rapporto. “Gli abitanti della regione sono costretti a bere acqua inquinata e a mangiare pesci contaminati dal petrolio. Alle compagnie chiediamo di investire seriamente per la pulizia del Delta”.
Sul banco degli imputati, secondo Amnesty, non ci sarebbe solo Shell, ma anche una serie di altre società, tra cui Total, Chevron, Exxon Mobil e l’italiana Eni.

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