Non solo metalmeccanici. Anche i bancari hanno iniziato a guardarsi le spalle. Specialmente ora che siamo alla vigilia del rinnovo del contratto nazionale. Vigilia funestata, oltre che dall’annuncio di 4.700 esuberi da parte di Unicredit, anche da qualche silenzioso tentativo di deroga all’accordo in vigore. Capofila, manco a dirlo, i campioni nazionali del settore: Intesa Sanpaolo e Unicredit.

L’ultimo grido di allarme è arrivato dalla Uilca. A proposito di una parte degli accordi sugli esuberi del gruppo Delta, la banca bolognese commissariata un anno fa dopo un’inchiesta per riciclaggio, la Uil di bancari e assicuratori per voce di Mariangela Verga della segreteria nazionale, ha infatti parlato di “situazione di ricatto” e di un “pericoloso precedente per il sistema”. Nel mirino della Verga, la cessione di due controllate di Delta che, sulla base della proposta di acquisto messa sul tavolo da Intesa Sanpaolo, non riguarderebbe i dipendenti, per i quali sarebbe invece prevista la riassunzione soltanto a fronte dell’accettazione di “condizioni retributive e di inquadramento di molto inferiori a quelle attualmente in essere”. Si tratterebbe, quindi, di “un pericoloso precedente per il sistema che si avvierebbe ad avere soluzioni negoziate a ribasso, azienda per azienda, in cui non ci sarebbero più certezze normative e retributive. Un pericoloso salto nel buio in cui la concertazione lascerebbe il passo alla determinazione unilaterale di condizioni penalizzanti per i lavoratori”. Un caso che pone degli interrogativi a tutta la categoria (più di 343mila lavoratori, il 95 per cento dei quali a tempo indeterminato, secondo i dati di fine 2009) visto che oltre a prefigurarsi come il primo nel settore del credito, nello specifico riguarda anche un’azienda iscritta alla Confindustria delle banche, l’Abi, e “rischia di scardinare il sistema di regole fin qui adottato”. Quella di Delta, però, sottolineano quasi all’unisono la Falcri e la Fabi, il principale sindacato di categoria, “è una situazione molto particolare” e difficile già in partenza. In pratica, ricorda il segretario Fabi Lando Sileoni, “non c’erano acquirenti alternativi e Intesa Sanpaolo poteva tranquillamente non assumere e lasciare a noi la patata bollente. Abbiamo scelto di tutelare l’occupazione. Fare accordi rappresenta il nostro pane quotidiano, non siamo per le barricate che lasciano i lavoratori in mezzo al guado”.

Nessun timore, poi, per il precedente, anche se, sottolinea Sileoni, una prima aggressione al contratto c’è già stata. E non si tratta delle 600 assunzioni in zone disagiate lanciate da Intesa Sanpaolo la scorsa primavera con dei contratti “alternativi” che per i primi due anni prevedono un inquadramento inferiore al 20 per cento rispetto al contratto nazionale. Il primato, sempre secondo il segretario Fabi, appartiene a UniCredit, che oltre agli esuberi, con il nuovo piano industriale “voleva anticipare il rinnovo del contratto (l’attuale scadrà a fine 2010, mentre il nuovo sarà discusso in Abi a partire da settembre, ndr) modificandolo con argomenti importantissimi come i nuovi contratti di entrata”, con novità sugli assetti di inquadramento, la mobilità territoriale e professionale e le flessibilità d’ingresso sul lavoro. Insomma, la banca guidata da Alessandro Profumo “tentava di farsi un suo piccolo contratto, ma ci siamo opposti alla politica sindacale per singoli gruppi. E per il momento non è passato”. Se ne riparlerà a settembre. Sia a Milano con Profumo, che a Roma con l’Abi di Giuseppe Mussari, che soltanto nel 2008, in veste di presidente del Monte dei Paschi di Siena, a valle dell’acquisizione di Banca Antonveneta aveva varato un piano industriale che prevedeva 1.200 esuberi. “In un mondo in cui c’è la rincorsa a scaricare i problemi sugli altri, è da mettere in conto che le aziende cerchino di agire sui costi strutturali”, vaticina il segretario generale della Falcri, Aleardo Pelacchi, per il quale “interessante è vedere se le aziende hanno fatto tutto quello che dovevano fare e, comunque, devono essere chiamate ad assumersi le proprie responsabilità”. In ogni caso, “per cambiare le regole bisogna essere in due. E noi non intendiamo destrutturare il contratto nazionale”.

di Giovanna Lantini

da Il Fatto Quotidiano del 15 agosto 2010

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