Questione di settimane, ma il conto alla rovescia è già partito. I 15mila documenti segreti che completeranno il “Diario Afghano” di Wikileaks (il sito specializzato in fughe di notizie) saranno online tra la fine di agosto e l’inizio di settembre. Lo ha annunciato il responsabile del portale, Julian Assange, che già due giorni fa aveva anticipato di voler proseguire l’opera di sabotaggio via Web dei segreti di guerra statunitensi.

Wikileaks, quindi, non lascia. Anzi, raddoppia e attira su di sé un coro unanime di aspre critiche. L’inizio della vicenda risale alla fine di luglio, quando Wikileaks pubblicò 76mila documenti segreti sul conflitto in Afghanistan, rivelando, tra le altre cose, il ruolo dei servizi segreti pachistani, che in teoria sarebbero alleati degli Usa, ma in pratica appoggiano i talebani. Già allora si scatenò un vespaio di reazioni incendiarie. Stessa, identica situazione verificatasi a metà di questa settimana, quando Assange ha confermato di essere pronto a mettere sul Web gli altri 15mila file top secret, quasi tutti relativi al 2010, del cosiddetto “Diario afghano”. La rivelazione del capo di Wikileaks è arrivata durante in un dibattito organizzato dal Frontline Club di Londra, appuntamento al quale Assange è intervenuto in video conferenza. “Siamo solo a metà dell’opera” ha detto, versando ulteriore benzina sul fuoco delle polemiche.

Contro la decisione di Wikileaks, infatti, si sono nuovamente schierati il Pentagono e Reporters sans Frontières, dopo che nei giorni scorsi anche 5 Ong (Amnesty International, Campaign for Innocent Victims in Conflict, Open Society Institute, Afghanistan Independent Human Rights Commission e il Kabul office of International Crisis Group) avevano chiesto ad Assange di eliminare dai documenti segreti i nomi dei loro collaboratori, la cui vita sarebbe stata a rischio dopo la pubblicazione degli x-files. “La scelta di Wikileaks sarebbe irresponsabile – ha dichiarato il portavoce del Pentagono Geoff Morrel – e aggraverebbe un errore che ha già messo a rischio troppe vite”. Richiesta? Immediata consegna dei documenti segreti e rimozioni di quelli già pubblicati. Ancor più duro il commento di Reporters sans Frontières, che ha pubblicato sul suo sito una lettera a firma del segretario generale, Jean-Francois Julliard, e della responsabile dell’ufficio di Washington, Clothilde Le Coz. Dopo aver dato dell’irresponsabile a Julian Assange, i vertici di Rsf hanno bollato la sua scelta come “pessimo precedente per il futuro di Internet”. Con la pubblicazione dei documenti segreti, a sentire Rsf, si darebbe il là ai governi per una stretta sulla libertà della Rete. Beffarda la risposta di Assange: “Reporters Sans Fact-cheking (Reporter senza verifica dei fatti) ha fatto un comunicato idiota”. Insomma, non si sentiva il bisogno di una guerra virtuale nella tragedia di un conflitto vero. E ora, c’è da giurarlo, la prossima pubblicazione della seconda parte del “diario Afghano” minaccia di scatenare un pandemonio di reazioni da parte di tutte le parti in causa. Nel frattempo, però, in Afghanistan la gente continua a morire.

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