‘Chi cammina dimentica/ E chi si ferma sogna’. Così conclude Garcia Lorca nella poesia ‘La corrente’. Pensare alle contingenze della politica italiana di queste settimane estive fa venire voglia di dimenticare e scappare via (altro che camminare!). E pensare a chi va e chi rimane, a chi vuol dimenticare, a chi sogna e magari può solo rassegnarsi, fa riflettere sul vero scopo dell’essere accademico, e dell’essere ricercatore.

Scegliere questa carriera presuppone qualità innegabili: disciplina, attitudine all’analisi, idee originali e molte altre caratteristiche utili, per altro, anche in altri ambiti. La passione fa la differenza, e regge il peso di tutte le altre su di sé. Stare chiuso in biblioteca o in laboratorio ogni giorno non è cosa da poco, né cosa per tutti: c’è un Alfieri prepotente, che lega alla sedia con un ‘volli’ fortissimo. L’ho sentito spesso chiamare ‘fuoco sacro’, ma di sacro ha ben poco.

Gli accademici più bravi sono spesso creature ossessive. Chi ha ossessione da vendere deve essere preparato a muoversi. A fare sacrifici di ogni sorta perché questa carriera non è facile, da nessuna parte. Lungi da me gettare fango a casaccio o per sentito dire sull’università italiana, ma leggendo tanti commenti, ascoltando la rassegnazione di tanti, mi sono resa conto che doversi armare di munizioni per parare i colpi del sistema sia disumano e avvilente. Sembra che far quello sia in sé un lavoro a tempo pieno: con questi presupposti, con queste possibilità, come si fa a seguire la propria vocazione?

Chi pensa che andarsene da un sistema inefficiente sia prova di vigliaccheria, forse non sa che la lotta si fa andandosene tanto quanto rimanendo, e spesso è una battaglia anche più complessa perché fa a botte con la sfera personale. Chiamarla ‘fuga’ implica viltà: è piuttosto un segno di indipendenza. Non smetterò mai di pensare che un ricercatore deve essere libero di seguire la propria vocazione senza impedimenti. Se lottare in patria, potrà (forse?) valere la pena in funzione delle generazioni future, non può valere la pena per sé oggi.

Espatriare fa male- c’è chi è pronto a farlo, e chi, con rassegnazione e dolore, materialmente non può, ma c’è anche chi ha paura o è troppo svogliato o pigro per farlo. Essere pronti a essere mobili dovrebbe essere parte integrante della vocazione, specialmente se si è giovani, perché la vita degli accademici appassionati dovrebbe avere l’obbligo di somigliare più alla corrente di Garcia Lorca che a una pozza d’acqua stagnante, per di più senza sogni.

A chi volesse guardare il mercato britannico, per master, dottorati, post-doc e lectureship consiglio di consultare il sito www.jobs.ac.uk. Le posizioni disponibili sono suddivise per disciplina, e all’interno di ogni suddivisione vengono stilate le opzioni relative al posto offerto, al luogo di lavoro e alla retribuzione. È prassi prendere contatto con le università che emettono i bandi per ottenere informazioni aggiuntive, prima di seguire la trafila dell’application formale.

Un monito generale: sono in atto radicali riforme al sistema universitario anche qui, i fondi per la ricerca (specialmente nel settore umanistico) scarseggiano, e c’è una preoccupante penuria di posizioni disponibili. La Gran Bretagna di Cameron non se la passa per niente bene. Ma questo sarà argomento di un altro post.

Articolo Precedente

Non ho protettori alla Rai: meglio Al Jazeera

next
Articolo Successivo

Scuola di politica “stile British”
Una futura classe dirigente europea

next