A volte viene il sospetto che certi comportamenti e consuetudini di Palazzo, apparentemente, liberticida e tirannici, possano, in realtà, trovare una loro ragion d’essere nella volontà benevola del Tiranno di regalare un sorriso ai propri sudditi dinanzi a certi paradossi.

E’ un sospetto che si fa fatica a non prendere in considerazione in relazione alla tenuta ed alla gestione del ROC, ovvero del Registro nel quale, dal 1997, devono, per legge, iscriversi tutti gli Editori di giornali, periodici ed agenzia di stampa nonché i proprietari di radio, televisioni, imprese concessionarie di pubblicità ed operatori di rete.

La finalità del registro – dice la legge – è quella di garantire la trasparenza e la pubblicità degli assetti proprietari allo scopo di assicurare l’applicazione delle norme del settore [n.d.r. dell’editoria, della radio e della televisione] quali quelle concernenti la disciplina anti-concentrazione, la tutela del pluralismo informativo o il rispetto dei limiti previsti per le partecipazioni di società estere.

Il Registro, specie in un Paese come l’Italia nel quale la drammatica assenza di indipendenza e pluralismo dell’informazione costituisce, ormai da decenni, uno dei principali talloni di Achille dell’intero sistema democratico, dovrebbe e potrebbe costituire un irrinunciabile ed essenziale baluardo contro quanti abbiano – anche solo la tentazione – di trattare l’informazione come una merce al pari di ogni altra o, piuttosto, di utilizzarla quale strumento di orientamento dell’opinione pubblica asservito a poteri politici o economici.

Sin dalla sua istituzione, l’AGCOM – così come previsto dalla legge – cura l’organizzazione e la gestione del registro, raccogliendo da tutti i soggetti obbligati, le dichiarazioni relative, agli assetti proprietari, ai nomi degli amministratori o, piuttosto, a quelli di eventuali fiduciarie che siano intestatarie di quote sociali.

Disporre di queste informazioni, dovrebbe consentire all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni di evitare pericolose – rectius più pericolose rispetto a quelle già esistenti – concentrazioni nel mondo dell’informazione e, potrebbe rappresentare, ad un tempo, un prezioso strumento che consenta a cittadini, lettori, telespettatori ed opinione pubblica di decifrare e decodificare l’informazione che si riceve anche in relazione agli interessi economici e politici dei soggetti che la producono.

Visti gli obiettivi e le finalità perseguiti dal legislatore attraverso l’istituzione del registro, logica e buon senso vorrebbero che chiunque possa consultarlo e, probabilmente, in un Paese normale sarebbe così.

Non in Italia però, dove i Padroni dell’informazione, evidentemente tengono alla loro privacy e l’Autorità non intende contraddirli.

Il registro è, infatti, uno dei tanti italici esempi di registri pubblici-segreti o – il che è ancora peggio – quasi segreti.

La consultazione del registro è preclusa ai cittadini e consentita solo a taluni soggetti che vengono a ciò autorizzati sulla base di una decisione completamente discrezione ed insindacabile da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni.

Si legge, infatti, nella pagina del sito internet dell’Autorità [http://www.roc.agcom.it/] attraverso la quale dovrebbe potersi procedere alla consultazione del registro che “L’autorizzazione all’accesso è subordinata all’accoglimento da parte dell’Autorità della formale richiesta effettuata attraverso la voce “Utenti non Registrati” e confermata con raccomandata A.R. indirizzata all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – Servizio Ispettivo e Registro. L’Autorità individua i soggetti che, a suo insindacabile giudizio, per specifiche finalità, possono avere accesso ai servizi di consultazione del ROC telematico. L’Autorità si riserva il diritto di revocare, a suo insindacabile giudizio, in qualsiasi momento, con un preavviso di 30 giorni, l’accesso ai servizi di consultazione del ROC telematico.”.

Una politica degli accessi ad un registro pubblico di tale importanza e rilievo istituzionale affidata a determinazioni assolutamente discrezionali ed insindacabili dell’Autorità che lo gestisce è incompatibile con le più elementari regole democratiche.

I dati contenuti nel registro sono – o almeno dovrebbero essere – dati pubblici e, come tali, accessibili a chiunque nella forma più semplice che la tecnologia consenta.

In ogni caso anche qualora si ritenesse che la pubblicità di tali dati debba cedere il passo a preminenti ragioni – che data la natura dei dati e la qualità dei soggetti cui i dati si riferiscono appaiono da escludere – di tutela della privacy è – o almeno dovrebbe essere evidente – che tali ragioni non possono che essere valide indistintamente per ogni cittadino interessato alla consultazione del registro.

Il regime di pubblicità ed accessibilità di un dato – che per di più dovrebbe essere semplicemente pubblico ed accessibile a chiunque – non può essere rimesso alla assoluta discrezionalità di un Ente, discrezionalità, che, peraltro, manca di qualsiasi riferimento normativo che ne guidi l’esercizio.

Il ROC deve essere aperto alla consultazione di tutti i cittadini salvo che l’Autorità per il trattamento dei dati personali – per ragioni che si fa francamente fatica anche solo ad ipotizzare – non ritenga di fissare delle regole univoche ed universalmente valide per la consultazione del registro da parte di tutti gli interessati.

E’ d’altro canto evidente che qualcuno nel Palazzo è geloso del segreto – o, almeno, del massimo segreto possibile – dei dati contenuti nel Registro.

La stessa Autorità Garante per le Comunicazioni, infatti, nel novembre del 2008, nel dettare il nuovo regolamento per l’organizzazione e la gestione del registro, aveva stabilito di rendere pubbliche almeno le anagrafiche degli iscritti al registro entro tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Regolamento stesso.

E’ passato oltre un anno da allora ma l’accesso al registro continua rimanere chiuso a doppia mandata e la sua porta ad aprirsi solo a quei soggetti che risultino “simpatici” all’Autorità.

I cittadini italiani, ormai da decenni vittima delle concentrazioni editoriali e della assoluta mancanza di pluralismo dell’informazione, hanno il sacrosanto diritto a conoscere, almeno, i nomi dei Padroni dell’informazione ed è compito dello Stato – in tutte le sue articolazioni – garantire loro il libero ed incondizionato esercizio di tale diritto con il solo limite del rispetto degli altrui diritti.

A casa mia posso scegliere “discrezionalmente ed in modo insindacabile” chi far entrare e chi no con l’unico rischio di risultare simpatico a qualcuno ed antipatico a qualcun altro ma il principio non può essere applicato ad un registro pubblico per il quale servono, invece, regole bilanciate e, soprattutto, eguali per tutti i cittadini.

Se la “cosa pubblica” continua ad essere gestita come la “casa propria”, non c’è nessuna speranza che il Paese ritrovi la strada della democrazia.

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