E’ il 6 del mese. E per molti italiani questo non vorrà dire niente. Per L’Aquila vuol dire qualcosa.
Vuol dire che oggi, come accade da più di un anno a L’Aquila si tiene il presidio della memoria.

Per ricordare il 6 aprile 2009 e per andare oltre. Perché l’unico modo per andare oltre quella data è non dimenticare, cosa molto difficile in un paese come il nostro, che ha una memoria – a breve o a lungo termine poco importa – decisamente deficitaria.

Cosa c’è, da ricordare, oltre a un terremoto che ha devastato il capoluogo abruzzese e i paesi del Cratere sismico?
Per esempio, le responsabilità pregresse. La mancanza di previsione e prevenzione, nonostante uno studio del 1999 che indicava come fortemente probabile un evento sismico nell’aquilano. E che proponeva addirittura un elenco di edifici pubblici a rischio crollo: il 6 aprile 2009, dieci anni dopo, sono crollati tutti.

E ancora, la mancanza di un piano di Protezione Civile all’Aquila, la mancanza dell’indicazione di aree di ammassamento materiali e mezzi, e quella Commissione Grandi Rischi delle polemiche che il 30 marzo 2009 rassicura tutti raggiungendo la scontata conclusione del “non si possono prevedere terremoti”. Dopo 4 mesi di sciame sismico.

E poi, la gestione post emergenziale. La Di.Coma.C., il quartier generale del Dipartimento Nazionale di Protezione Civile all’Aquila, instaurato il 9 aprile: un acronimo che significa Direzione di Comando e Controllo.
30mila sfollati negli alberghi. 30mila divisi in 172 campi tendati.

Note ufficiali che invitano a non distribuire caffé, cioccolata, salumi, alimenti e bevande eccitanti nei campi; le tendopoli recintate; l’accesso limitato; i giornalisti che devono accreditarsi presso l’ufficio stampa della Di.Coma.C. per fare interviste, secondo un modello di giornalismo embedded; il Comando e il Controllo; il miracolo aquilano raccontato a tutta Italia a reti unificate.

E soprattutto, la scelta inedita e inaudita, in seguito a un terremoto, di ignorare il preesistente e di costruire ex novo. Il potere di ordinanza e di deroga della Protezione Civile. Le C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili), quartieri-ghetto, senza servizi e senza collegamenti con il tessuto sociale della città dell’Aquila, decise dall’alto pochi giorni dopo il sisma. Le macerie non rimosse. I centri storici distrutti. La città fantasma. Le poche voci critiche.

E poi, all’improvviso, la cricca, gli imprenditori che ridevano, il velo mediatico che comincia a sollevarsi, il PD che si rende conto che forse qualcosa andava detto e fatto, le manganellate alla manifestazione di Roma. Fino alla verità: L’Aquila non è un miracolo. E’ una città ferita che questo Governo non ha saputo soccorrere, perseguendo altri interessi, molto meno virtuosi.

Ogni 6 del mese bisognerebbe parlarne. Per non dimenticare L’Aquila.
Per non dimenticare che potrebbe accadere ovunque.

Per fare una bella cura di fosforo agli italiani, attraverso la parola e il racconto, unici anticorpi nei confronti di un presunto Governo del Fare, che maschera il suo “fare male” attraverso la narrazione e la ricostruzione mediatica.6 agosto – Presidio della memoria

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