In principio erano soltanto due imprenditori della Silicon Valley accomunati dal desiderio di vedere cambiare la loro America e partecipare alla svolta progressista. Il dito era la comunicazione politica dall’alto. La luna, invece, l’esistenza delle nuove tecnologie per raccogliere fondi a sostegno di campagne pacifiste, presidenti meritevoli, congressman di spessore.

Wes Boyd e Joan Blades, imprenditori e coniugi della Silycon Valley, con soli 89.95 dollari hanno fondato nel 1998 MoveOn, l’organizzazione che in poco più un decennio si è battuta contro l’impeachment di Bill Clinton voluto dai Repubblicani, si è schierata contro la guerra in Iraq, ha sostenuto la campagna di John Kerry e consacrato Barack Obama come primo Internet President della storia. Un successo generato dalla partecipazione dei cittadini su Internet: dai social network alle donazioni con carta di credito, per tradurre le idee in mobilitazione reale. MoveOn ha realizzato ciò che le democrazie occidentali di oggi, lontane dalle ideologie che animavano le piazze prima della caduta del Muro, non riescono più a fare: fare scendere in strada i propri sostenitori e invitarli proattivamente ad aderire alla causa.
Tutti attivi, nessuno passivo.

La campagna per Obama condotta da MoveOn ha portato a risultati strabilianti. Dai primi mesi del 2007, in cui il sostegno alla sua candidatura era la priorità dell’organizzazione, sono stati raccolti 88 milioni di dollari (e per regolamento un donatore non può versare oltre i 5mila dollari), arruolati 933mila volontari e vinti sei seggi al Senato. MoveOn è stata la dimostrazione più emblematica di come i cambiamenti politici e sociali, candidati credibili permettendo, possano avere successo pur partendo dal basso. La chiave di volta è stata la mobilitazione sul territorio. Una connessione Internet per interagire con i membri o i simpatizzanti sui social network, ore passate al telefono per convincere altri ad aggiungersi al progetto di democracy in action. Da un capo all’altro degli States, ma passando dai propri quartieri e dai vicini di casa.

La partecipazione dei cittadini, persone in carne ed ossa, ha creato proseliti, ha spinto gli elettori a donare dei soldi per una causa che sentivano propria. E la vittoria di Obama, come ha dichiarato lo stesso presidente, è la loro vittoria. Questo tipo di progetto sta già iniziando a fare proseliti anche fuori dai confini americani.  In Australia ad esempio, MoveOn ha trovato il suo sosia naturale in GetUp.

Per il momento nel Vecchio Continente non c’è nulla di simile. Almeno per quanto riguarda la raccolta di fondi online. In Europa i social media, da YouTube a Facebook, sono semplicemente considerati la conditio sine qua non per veicolare la propria immagine qualora si debba presentare un progetto politico. Dal Best Party di Jon Gnarr, oggi sindaco di Reykjavik, fino alle presidenziali in Romania dello scorso novembre, la politica dimostra di voler comunicare su Internet. E per farlo, serve il contributo dei guru. Per questo David Cameron aveva arruolato Anita Dunn, ex direttore della comunicazione della Casa Bianca, e Gordon Brown si era invece affiancato a Joel Benenson, sondaggista di fiducia di Obama. Le rispettive mogli, poi, sanno anche usare Twitter e YouTube, dove guadagnano retwit, visibilità e valanghe di clic. Ma tutto questo viene dall’alto e non riempie le piazze. La vera forza del cambiamento – e del finanziamento – sta nella motivazione di chi,  sceglie dal basso i suoi vertici e li supporta.

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