Bisogna andare indietro di 17 anni per raccontare l’origine del rapporto tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi. Nel 1993. Alla tornata elettorale amministrativa Fini, ancora segretario del Msi, si candida contro Rutelli e ottiene l’appoggio del Cavaliere. Fini perde, ma incassa lo “sdoganamento”. La destra esce dal ghetto. Inizia così l’idillio tra i due, che passa dalla svolta di Fiuggi e soprattutto dalla vittoria delle elezioni del 1994. Ma alla vigilia di Natale di quell’anno la Lega manda tutto all’aria con il famigerato “ribaltone” che porta a Palazzo Chigi Lamberto Dini. Fini resta fedele a Berlusconi : “Non prenderò mai più un caffè con Bossi”, dice.

Primi screzi. Il primo segnale di insofferenza da parte dell’allora leader di Alleanza Nazionale, arriva nel 1999. Fini stringe un patto con Mario Segni, in nome del referendum anti-proporzionale. Alle europee il simbolo dell’Elefantino si ferma però al 10,3% per cento. E’ un flop. Berlusconi non gradisce: è il primo sgarbo di Fini all’alleato di ferro. Chiusa questa parentesi, An torna saldamente al fianco di Forza Italia. La “Casa delle libertà” vince le elezioni del 2001. Nei cinque anni di governo, in cui Fini ricopre l’incarico di vicepremier e ministro degli Esteri. Ma a livello politico non mancano le occasioni in cui manifesta una certa insofferenza. Reclama una “cabina di regia” che lo coinvolga nelle decisioni . Fa fronte con il leader dell’Udc Marco Follini e, nell’estate del 2004, ottiene la testa del ministro dell’economia Giulio Tremonti.

Il predellino. Il discorso del predellino (novembre 2007) con cui Berlusconi annuncia che è ora di dar vita a un partito unico, manda Fini su tutte le furie. “Siamo alle comiche finali”, commenta il leader di An. Che poi, però, dopo la caduta del governo Prodi, farà di fatto confluire An nel Popolo della Libertà (con la formula della federazione di partiti), il nuovo soggetto politico che vincerà, insieme alla Lega, le elezioni politiche. L’elezione di Fini alla presidenza della Camera completa lo “sdoganamento” degli ex missini nelle istituzioni italiane.

Scintille nel nuovo governo. A settembre 2008 Fini lancia la proposta del voto agli immigrati. Berlusconi si confida con i suoi chiedendosi se Fini stia lavorando per ritagliarsi un proprio spazio. “Pensa di candidarsi alla mia successione? Allora non ha capito niente. Senza di me starebbero ancora dove stavano fino al 1994”. Nel dicembre del 2008, il governo mette la fiducia sulla finanziaria, e Fini, presidente della Camera, boccia la procedura adottata defindendola “anomala”.

Nasce il Pdl. Nel marzo 2009 il Pdl diventa un vero e proprio partito. Pochi giorni prima della festa e degli abbracci sul palco tra i due, però ci sono ancora polemiche. Fini dice che “c’è un rischio di cesarismo” che va scongiurato garantendo la democrazia interna. A dicembre dello stesso anno un fuorionda di Fini a un convegno sulla mafia fa salire nuovamente la tensione con Berlusconi: parlando a microfoni spenti con il suo vicino, il magistrato Nicola Trifuoggi e, riferito a Berlusconi, dice: “Confonde la leadership con la monarchia assoluta”.

L’anno della rottura. Siamo alla storia recente. Il 2 marzo 2010 Fini torna a esprimere la sua insoddisfazione per come vanno le cose nel Pdl. “Ho contribuito a fondare il Pdl, ma così come è il Pdl non mi piace”. E ancora. La riforma delle istituzioni, dice il 22 marzo 2010, “non si può fare a colpi di slogan e battute da comizio”. Il momento che sancisce una vera frattura tra i due fondatori del Pdl si consuma ad aprile: al Consiglio Nazionale del Pdl, in via della Conciliazione a Roma, Fini rivendica il diritto di dire le cose che pensa senza sentirsi dare del “traditore”. Berlusconi risponde a muso duro: “Se vuoi fare politica la fai da uomo politico e non da presidente della Camera”. La controreplica di Gianfranco Fini è immediata: si alza dalla sedia in platea e si avvicina al presidente del Consiglio, puntando il dito contro di lui, urlandogli: “Che fai mi cacci?”. Il consiglio del partito vota la fiducia al Cavaliere, ma prende forza la nuova corrente dei fedelissimi del presidente della Camera. Si arriva così a questa settimana. Nel giorno in cui il Giornale lancia un’inchiesta che colpisce direttamente Fini, e di fronte all’imminenza della rottura, Fini propone un armistizio: “Resettiamo tutto”, dice al Foglio di Giuliano Ferrara. Ma per Berlusconi l’offerta di Fini è “tardiva”. E, insieme allo stato maggiore del Pdl, composto anche da ex colonnelli di An, stila un documento che definisce incompatibili con la linea del partito le prese di posizione di Fini e dei parlamentari a lui vicini.

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