Giorni fa, un noto importatore tedesco di vini, premettendo di essere confuso da ormai quindici anni, mi domanda il nome d’un vino Barbera che sappia di Barbera. È una domanda alquanto esistenziale.

A marzo di quest’anno ho partecipato al più importante evento della Barbera (Barbera meeting): 4 giorni di degustazione fra tante Barbera d’Asti, del Monferrato e qualche Barbera d’Alba. Dai circa 200 vini si è dedotta, più che la personalità della Barbera, la confusione stilistica dei produttori: essi sembrano trascurare le caratteristiche varietali del vitigno Barbera, trasfigurandole con caricaturali surmaturazioni dei chicchi sulla pianta o dei vini in botti omologanti.

Degustare una Barbera dopo l’altra è stato come tornare a una ventina di anni fa: quando i vini si facevano col goniometro e le formule, in una visione quantitativa e non qualitativa del vino. Quindi, trascurando il patrimonio ampelografico e culturale italiano, i vini sono dovuti diventare “armonici”: tutti luminosi e colorati, profumati e dolci, marmellatosi e tostati, asciutti ma non acidi. Cioè vini tecnici.

Il mito eugenetico d’un mercato ignorante.

La Barbera “Quorum” ne è un esempio: sei produttori vinicoli piemontesi si sono uniti per produrre dal 1997 una “Superbarbera” (così qualificata da uno dei produttori, Michele Chiarlo). Da un lato tale progetto ha intenso contribuire alla ricerca e allo sviluppo del territorio astigiano, collaborando con l’Università di Torino e finanziando Slow Food; dall’altro lato ha prodotto e produce i vini grossi e legnosi che hanno attratto la critica, ponendosi come modello di vinificazione e di prezzo (alto). Ma, anche riassaggiando oggi le prime annate, nella speranza di un miglioramento negli anni di bottiglia, la valutazione non cambia: meglio una Barbera da 8 euro che una Superbarbera a 50 euro.

Pare così dimenticata l’opera del compianto Giacomo Bologna, azienda Braida, che nei primi anni Ottanta resuscitò la Barbera di qualità. Pertanto in un Piemonte che s’industria a promuovere il vitigno autoctono Nascetta, meno ignoto nel passato che nel presente, si è ormai dimenticata la secolare Barbera: il gusto della Barbera. Da vini acidi e diluiti si è passati a vini dolci e tannici.

“Il contrario di uno squilibrio sarebbe equilibrio, non lo squilibrio opposto” notava De Maistre.

Dunque, per consigliare qualche vino che sappia di Barbera e riporti tale nome in etichetta, devo astrarmi dall’evento menzionato:

Alba: l’eccellente Barbera d’Alba 2006 Santo Stefano di Perno di Giuseppe Mascarello; Barbera d’Alba 2008 (grandiosa la 2007) di Giacomo Conterno; buone di solito anche la Barbera di Giuseppe Rinaldi, Bartolo Mascarello, Giuseppe Cortese, Cavallotto, Cascina delle Rose. L’ultima Barbera d’Alba di Bruno Giacosa, annata 2008, non convince.

Asti: l’ottima Barbera Vigna del Noce di Trinchero; la Barbera d’Asti di Luigi Spertino e quella di La Casaccia. Nello stile opposto, la Barbera d’Asti Superiore Alfiera dei Marchesi Alfieri.

Monferrato: Barbera mature e fascinose di Walter Massa. Da seguire quelle dell’azienda Iuli.

Ps: quanto alla storia della Barbera segnalo questo interessante articolo: Storia della Barbera

Articolo Precedente

La cultura della dispensa (parte sesta)

next
Articolo Successivo

La cultura della dispensa (settima parte)

next