Trivellazioni per estrarre petrolio a meno di 600 chilometri dalle coste della Sicilia. Inizieranno tra poche settimane nel Golfo della Sirte, in Libia. Lo ha annunciato la Bp, la stessa compagnia responsabile del disastro nel Golfo del Messico. E se quanto accaduto alla piattaforma Deepwater Horizon succedesse nel Mar Mediterraneo? Secondo l’organizzazione ambientalista Platform, gli effetti sarebbero ancora più devastanti, per via della forma a conca di bacino del nostro mare.

Le nuove trivellazioni della Bp in Libia arriveranno poi fino a una profondità di 1.700 metri, 200 in più della Deepwater Horizon in Louisiana. Piattaforme di questo tipo sono “ad alta profondità”: le più pericolose. L’Europa, in tutto, ne ha già 27, tutte localizzate nel Mare del Nord: una lingua d’acqua di appena 970mila km, stretta tra Gran Bretagna, Scandinavia e Islanda, al centro delle preoccupazioni delle associazioni ambientaliste internazionali. In questo mare 24 piattaforme pompano petrolio a oltre 200 metri di profondità e 3 oltre i 400. Sotto i 400 metri, eventuali falle non sono raggiungibili dai sommozzatori e più si va in profondità, più aumentano i rischi di incidente, per la temperatura delle acque, la pressione, le correnti e la difficoltà di intervenire tempestivamente in caso di black out.

Varie trivellazioni sul lato britannico e scandinavo del Mare del Nord sono della Bp, che è attiva anche in Russia, dove possiede il 50% della compagnia petrolifera TNK-BP. La British Petroleum, è anche proprietaria dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (Btc), il secondo più lungo al mondo (1.776 km), costruito nel 2006 per trasportare il petrolio estratto nel Mar Caspio fino alle coste del Mar Mediterraneo. Proprio nel Mar Caspio si trova uno dei giacimenti di petrolio più grandi al mondo: l’area di Kashagan, che nel 2020 raggiungerà una produzione giornaliera di un milione e mezzo di barili di greggio. Qui la situazione è tenuta sotto controllo dalle ong per via dell’alto livello di solfuro e di altre sostanze tossiche nel sottosuolo e delle difficili condizioni di estrazione (clima impervio e piattaforma lontana dalle coste). L’organizzazione Friends of the Earth Europe riferisce che migliaia di persone sono già state evacuate a causa delle emissioni di solfuro.

Nonostante i rischi, in Europa il numero delle piattaforme petrolifere è destinato ad aumentare. Nuove estrazioni nel Mediterraneo potrebbero partire nei prossimi anni. La stessa British Petroleum sta infatti esplorando con la Shell i fondali libanesi ed egiziani per centinaia di chilometri quadrati. Acque in cui la BP ha già un terribile precedente: lo scoppio nel 2004 di una piattaforma per l’estrazione di gas naturale che ha bruciato per oltre una settimana. Nell’area delle isole Shetland, a nord della Scozia, sono iniziate esplorazioni affidate a BP e Transocean, lo stesso duo responsabile della catastrofe del Golfo del Messico. L’organizzazione Platform riferisce poi che la Norvegia non vede l’ora di iniziare le estrazioni nel Mare Artico attorno alle isole Lofoten. Esplorazioni sono iniziate al largo delle coste della Groenlandia e al largo della Turchia nel Mar Nero, mentre l’Irlanda è pronta a mettere all’asta diverse licenze per scandagliare il sottosuolo. 

Insomma una situazione che non fa certo ridere, tanto più che, secondo tutte le associazioni ambientaliste, l’Unione europea sta facendo troppo poco per proteggere i propri mari e le proprie coste. Recentemente l’eurodeputato polacco Boguslaw Sonik, vice presidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo, ha presentato una proposta di risoluzione per richiedere controlli più stretti, misure di sicurezza più rigide e regole europee più rigorose per le trivellazioni. La sua mozione, però, non è passata.

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