Il Parco Sud sotto assedio

Costruire, dunque, è la parola d’ordine. Ma dove? I grandi costruttori milanesi nei loro peggiori incubi vedono davanti a sé la mappa di Milano: a nord è una distesa ininterrotta di palazzi, non c’è un centimetro quadrato libero per chilometri e chilometri. Le poche chiazze verdi, i cosiddetti parchi urbani, fanno sorridere se confrontati ai veri parchi, come Villa Borghese a Roma. Allora che fare?

E qui torniamo al Campazzo, al Parco Sud. Era l’inizio degli anni Ottanta quando i milanesi si accorsero che la loro città stava soffocando. Che non era possibile dover fare duecento chilometri in auto per respirare una boccata d’aria pulita. E allora, con quel senso civico e quel desiderio di partecipare che soltanto Milano sa avere, si lanciarono in una battaglia per salvare almeno la zona sud della città. Furono anni di mobilitazione, di manifestazioni e di raccolte di firme (oltre trentamila). Cittadini e agricoltori uniti, un caso più unico che raro. Ma c’erano ostacoli da superare: i grandi imprenditori avevano progetti già pronti nel cassetto, come Berlusconi che con la sua Edilnord voleva costruire il centro di Lachiarella.

Alla fine anche gli amministratori dovettero cedere: prima la Provincia presentò un suo progetto, molto ridotto rispetto alle speranze dei cittadini, comunque un primo passo. Poi nel 1990 arrivò la legge regionale. Certo, vengono escluse enormi fette di aree agricole, come quel milione e 600.000 metri quadrati a Lachiarella. Vero anche che le norme tecniche consentono ai comuni di realizzare le previsioni di sviluppo contenute nei loro piani regolatori. Insomma, altro cemento in vista. Ma agricoltori e ambientalisti riescono comunque a mettersi in tasca un risultato: nasce il Parco Sud, una cintura verde (nonostante le tante macchie) che da Arluno, a ovest, abbraccia tutto il territorio meridionale della provincia e prosegue a est, oltre l’aeroporto di Linate, fino a Gorgonzola. Un semicerchio di 46.300 ettari che ricade nel territorio di 61 comuni, con Milano, ovviamente, che fa la parte del leone. Caso chiuso? Nemmeno per idea, perché in Italia non c’è niente di meno definitivo di un vincolo urbanistico. A ogni deliberazione della Regione e della Provincia c’è qualcuno che cerca di inserire postille per ammorbidire i limiti. Ma il nodo della questione è soprattutto un altro, come sostiene Aquilani: «Quella grande macchia verde disegnata sulle mappe è per tanti, troppi, soprattutto bianca. È una zona libera dove bisogna cercare in ogni modo di costruire».

Le cascine contro i palazzi. Gli agricoltori contro gli amanti del cemento e dell’asfalto. Così a ovest arriva la Boffalora-Baggio (Nuova tangenziale ovest), 20 chilometri per 420 milioni di euro. A est invece sarà realizzata la Tangenziale esterna est (Tem), 35 chilometri per 1,6 miliardi di euro (di questi due progetti parleremo in un altro capitolo). Una morsa micidiale per il parco, perché poi dove costruisci le autostrade, lo sanno tutti, arrivano le case.

Ma non è finita, perché nel territorio protetto stanno sorgendo anche l’ampliamento dell’Ieo (Istituto europeo di oncologia) e soprattutto il Cerba (Centro europeo di ricerca biomedica), le creature del professor Umberto Veronesi. E qui la questione diventa complessa e delicata. Perché non si parla di condomini, ma di istituti dove si cura il cancro. Centri di eccellenza che si occuperanno di tanti di noi. Di questo va tenuto conto. Però non bisogna nemmeno rischiare che l’importanza sociale dei progetti costringa ad accettare soluzioni che per certi aspetti possono sembrare discutibili.

Alla radice di tutto le disposizioni contenute nella legge che prevedeva l’istituzione del parco. Che vietava le costruzioni residenziali, ma lasciava di fatto il via libera ai servizi e alle infrastrutture. La parola «parco» non definisce adeguatamente i quasi cinquantamila ettari alle porte di Milano. Questo è un luogo davvero unico dove la terra si mischia, si scontra con la città. Dove l’anima antica, agricola, della Lombardia si confonde con quella nuova, legata all’industria e ai servizi.

Il confine tra i due mondi è difficile da tracciare: percorrendo via Ravenna, parallela al raccordo per l’Autostrada del Sole, si corre tra palazzi, capannoni, poi basta una curva e ci si ritrova in mezzo ai campi. Ma la città e la campagna sono sempre presenti, insieme. Sei in una distesa di grano e l’orizzonte a nord ha la forma dentellata dei grattacieli. Entri nel cortile di un condominio e tra gli spigoli dei palazzi parte un sentiero che attraversa un canale e ti porta tra le balle di fieno.

Forse il luogo migliore per esplorare il Parco Sud è l’abbazia di Chiaravalle. A poche centinaia di metri dall’abitato disordinato di San Donato Milanese ci si trova proiettati nel passato. Addirittura nel xii secolo. […] I rumori rari che provengono dal laboratorio dei frati ti rimandano alla ricchezza spirituale e culturale della città. È una terra di nessuno, assediata dai palazzi e dal presente, e però fuori dal tempo: così ecco che arrivando dal centro, dopo aver calpestato per settimane l’asfalto, ti ritrovi sotto i piedi una terra morbida, scura. […] E mentre sopra la testa ti sfrecciano gli aerei che atterrano a Linate osservi le macchine che tagliano il fieno, che mettono insieme le balle. Ecco il Parco Sud di Milano, migliaia di ettari su cui premono la città e il tempo, eppure ancora relativamente salvi. Strade che corrono tra canali, che lambiscono le cappellette dove una volta ci si fermava sulla strada dei campi.

No, non si tratta di un santuario, ma di un campagna vera, anche se tanto contaminata: «Nel parco – racconta Paolo Lozza di Legambiente – sono ancora attive 1400 aziende agricole che danno lavoro a 4000 persone. La coltura più diffusa e caratteristica è quella dei cereali (43 per cento della superficie del parco), ma c’è anche il riso (22 per cento), che in primavera trasforma la campagna in laguna (qualcuno l’ha definito un “mare a quadretti”) e le splendide cascine in improvvise isole». È una terra viva, che a seconda dei tempi del raccolto si colora delle tinte dei girasoli e della soia, ed è disegnata dagli orti e dai vivai. Poi le distese ordinate dei pioppi e i prati (16 per cento).

Certo, a chi è abituato alla città sembrano luoghi deserti, ma sono invece ben vivi: l’allevamento di bovini e suini interessa un terzo del parco e dà vita a 305 imprese. Il centro di tutto è la cascina lombarda che è abitazione, ma anche strumento di lavoro. Le esigenze della terra e dell’allevamento ne hanno disegnato la forma quadrata, con l’edificio per gli uomini e gli altri destinati agli animali e al fieno.

Proprio come cascina Gaggioli, dove dal 1948 vive la famiglia Bossi. Sono tre fratelli con la madre: c’è Giuditta (medico), Francesco (agronomo) e Paolo (veterinario). E poi Carla, la mamma, che ha ottant’anni. Contadini che hanno fatto l’università, che conoscono la città, ma che non hanno voluto mai lasciare la loro cascina dove adesso vivono con mariti, mogli e figli che si aggirano vocianti nel cortile. A guardarlo da fuori potrebbe essere un luogo perfetto: sei in campagna, con gli aironi che ti passano sopra la testa con il loro volo lento, precario, con le cicogne, le civette e le poiane. Ma sei anche a cinque chilometri dal Duomo, molto più vicino (la fermata del tram è a trecento metri) delle migliaia di milanesi che vivono negli alveari di cemento della periferia nord. (segue a pagina 4)

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Da “La Colata”
Milano: Ligresti alla conquista del Parco Sud

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