Ecco la testimonianza di tre giovani “cervelli in fuga”: senza più fiducia nel nostro Paese, sono partiti per insegnare e studiare nelle università inglesi

Andrea: “Da docente mi sudo ogni penny, ma sono soddisfatto”

“Se non sei nessuno e non hai parentele, amicizie, spinte dalla famiglia o dalla politica c’è solo una cosa che ti difende: il merito. Se sei bravo vai avanti, se non lo sei resti al palo. Queste sono le regole dell’università in Gran Bretagna”. Andrea Mammone ha 35 anni e viene da Paola, in Calabria. Una lunga gavetta di studi in giro per l’Italia, l’Europa e oltreoceano, per poi venire a fare il professore di Storia contemporanea a Kingston, ordinata cittadina del Surrey, alle porte di Londra. Professore giovane per i criteri italiani, in linea invece con gli standard inglesi in termini di età, è soddisfatto del suo lavoro: “Ben remunerato – dice – ma duro: ti fanno sudare ogni penny”. Andrea scuote la testa alla domanda se consiglierebbe di fare carriera nelle nostre università. Ma qual è la soluzione allora? La legge per il rientro dei cervelli? “Con le regole attuali – spiega – si crea un paradosso: l’università potrebbe prendere un ricercatore da fuori per metterlo al posto di qualcuno che lavora lì da molto, magari solo per prendersi i soldi del governo”. Lui, dalla Gran Bretagna non tornerebbe indietro: “Qui il lavoro universitario è valutato con criteri di produttività. Periodicamente, una commissione nazionale indipendente mista di docenti britannici e stranieri, chiede agli istituti di far presentare ai loro ricercatori le migliori pubblicazioni prodotte. C’è poco da fare, se hai lavorato bene non c’è pericolo che ti caccino via”.

Nadia e Stefano: “Fuori dall’Italia ci sono più possibilità”

“Non saprei dire se ci vuole coraggio per andarsene dall’Italia. A me sembra che ci voglia un gran coraggio a restare. Qualche volta mi chiedo: ma come fanno?”. Nadia Cosentino, 24 anni, dopo una laurea in Comunicazione pubblicitaria all’università di Urbino non ha avuto dubbi a scegliere Londra per il suo master. Arrivata nel gennaio 2009, completerà a dicembre gli studi al London College of Communication. Nadia fa parte di un piccolo esercito di nuovi “migranti”, i cui contorni sono fluidi e i cui numeri sono difficili da quantificare. Erasmus in Spagna per lei, stessa apertura all’Europa per tanti altri, e l’incontro con realtà universitarie vive e dinamiche, che attraggono energie. Molti di questi giovani sono colti, intelligenti, qualificati e se ne vanno a spasso per il continente per affacciarsi nel mondo del lavoro. Così ha fatto pure Stefano, 24 anni: “Vengo dalla Federico II di Napoli – racconta – e adesso sono all’Imperial College di Londra”. Dove sta facendo un post-laurea in Ingegneria biologica. “Finito il master vorrei continuare con un PhD, sempre qua. All’Imperial ora ci sono le strutture, i laboratori necessari per fare buona ricerca. Ma soprattutto si percepisce che lo studente è al centro dell’interesse da parte dell’università. Per quale motivo da noi non può essere così”.

Articolo Precedente

Deep impact e studi inutili

next
Articolo Successivo

The Empire State… of mind

next