Nel 2008 il governo laburista aveva proposto di modificare il (già controverso e oneroso) sistema di valutazione qualitativa della ricerca nelle università (Research Assessment Exercise) con un modello rivisitato e corretto. Lo scopo del sistema originale è di stabilire graduatorie tra dipartimenti sulla base dell’output dei ricercatori ed elargire di conseguenza extra pecunia e status ai dipartimenti più quotati e prolifici. I dipartimenti ricevono fino a cinque stelle di graduatoria, come le recensioni dei film. (Dipartimento 5*plus =‘da non perdere’). In buona sostanza l’RAE si erigeva su un mantra ossessivo: pubblicare, pubblicare, pubblicare. Non ha importanza se sei il docente più bravo in facoltà; se non pubblichi caterve di articoli e libri, svilisci le aspirazioni del tuo dipartimento, non porti soldi statali e quindi bye-bye (o quasi). Via i fannulloni dalla ricerca. Vi suona familiare?

Corollario paradosso numero uno: più di 30.000 ricercatori a tempo pieno sono stati esclusi dall’ultima valutazione del 2008, solo perché legati da contratti a termine. Quindi: pubblichi tanto, ma non puoi portare soldi al dipartimento perché non sei riconosciuto, (o, come si dice qui, ‘RAE-able’), pubblichi poco e nessuno ti sgama perché tanto sei invisibile. Corollario numero due: uno strumento sistematico di valutazione delle università è un male necessario, ma sarebbe opportuno che rispecchiasse le numerose attività condotte nelle stesse, non solo la ricerca e le pubblicazioni.

Tant’è. Morto un RAE, se ne fa un altro, ma oggi si chiama REF (Research Excellence Framework). Stessa cosa, ma con, in aggiunta, una pericolosa enfasi sul concetto di ‘impact’, cioè sulla necessità di misurare l’impatto che la ricerca ha (o dovrebbe avere?) su ‘economia, società, cultura, politica, ambiente, sviluppo internazionale e qualità della vita’. 

Il messaggio è chiaro, anche se nascosto tra le pieghe dell’orrido burocratese: la ricerca non si misura in termini di qualità nel campo specifico, ma in termini di impatto, specialmente economico, fuori dall’accademia. L’effetto impact non è cosa da poco: la proposta prevede che abbia un peso del 25% nel processo di allocazione dei fondi.

A questo punto, ci sono due livelli di analisi da considerare. Il primo è metodologico: come si definisce l’impatto della ricerca e, di conseguenza, come si fa a misurarlo? Se cerchiamo di dirimere la questione, troviamo tra gli indicatori dell’impatto più enfatizzati (traduco verbatim): ‘creare nuovi business, commercializzare nuovi prodotti o processi, attrarre investimenti per ricerca e sviluppo dal mercato globale, migliorare i servizi pubblici, potenziare il benessere e la coesione sociale’. E l’arricchimento culturale dove lo mettiamo? In un angolo! La ricerca umanistica, lo studio delle idee e delle teorie, dell’arte, della letteratura vengono viste come inutili, perché sono a impatto zero. Cose eteree, inefficaci.

Il secondo livello è, oserei dire, di ordine etico: sarebbe auspicabile che il governo non entri con mano pesante in questioni di cui non afferra il significato o la portata.

Le università britanniche hanno bisogno di fondi pubblici, oltre che privati, è ovvio, ma un’ingerenza dall’alto, così ignorante, utilitaristica e crassa non può far bene alla ricerca, allo sviluppo delle idee e del pensiero. In ultima analisi, non può giovare alla società, né ai governi stessi. Se pensate che sia utopia, leggete qui:

http://www.timeshighereducation.co.uk/story.asp?storyCode=409403&sectioncode=26%22

Dopo un pandemonio di polemiche, è appena stato annunciato che REF e impact saranno rimandati di un anno per cercare più consenso, e probabilmente introdotti nel 2012: il ministro dell’università e scienza Willetts non è proprio convinto dell’impatto pesante di impact. Meno male. Nell’attesa però, siamo già assordati e rintontiti dal tormentone primavera-estate dei conservatori: ‘cut cut cut’ (tagli del 40% previsti solo per il settore universitario): se è verosimile che anche la ricerca a forte impatto finirà con l’essere premiata in misura radicalmente minore, che cosa sarà riservato alla ricerca di storici, filosofi, classicisti e teoreti del sapere?

 

 

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