Qualche anno fa, è domenica, è mattina, sono a casa e accendo la televisione. In un salotto del servizio pubblico si sta parlando di vittime della strada.

C’è una ragazza, avrà più o meno 20 anni. Sta dicendo che parlare di “incidente” non è sempre corretto, quindi descrive la dinamica dello scontro in cui sono morti i suoi amici. Ricorda la compresenza di cause che l’hanno provocato, velocità e alcol, mi sembra. Allora dice il caso qui non c’entra. Dice che parlare di incidente nel “suo” caso è sbagliato. Lo dice anche il dizionario. Infatti, per capire bene, è andata a rileggersi il significato di quella parola, incidente. Il dizionario parla di “evento inatteso che interrompe…”, così lei chiosa: inatteso, no! No, perché se ti metti alla guida dopo aver assunto alcol e/o sostanze e magari pigi pure l’acceleratore e investi qualcuno, e quel qualcuno magari muore, non si può parlare di “evento inatteso”. Caso e responsabilità personale non sono nemmeno lontani parenti.

Ero sostanzialmente d’accordo, ma da un lato temevo che il ragionamento fosse viziato dal coinvolgimento emotivo, dall’altro – anche volendo – mi sembrava che, anche a confronto impostato, un secolo (o giù di lì) di – come dire? – convenzione lessicale avrebbe avuto comunque la meglio.

Poi, la svolta.

Qualche anno dopo m’imbatto in un documento importante. Si chiama: “Preventing road traffic injury: a public health perspective for Europe”. È una relazione preparata dal Regional Office for Europe dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità. In quel rapporto si dice che il numero dei morti e dei disabili sono un problema di salute predominante. E poi, che i morti e le ferite non sono solo eventi casuali, cioè: non sempre e non solo sono incidenti: “E’ arrivato il momento di smettere di considerare le morti e le ferite da traffico come eventi inevitabili dell’utilizzo delle strade: tali eventi sono prevenibili”.

Da qui, scopro, leggo e studio il “Programma d’azione europeo per la sicurezza stradale”, redatto nel 2001 dall’Unione europea che (appunto nel 2001) decide di darsi l’obiettivo di dimezzare il numero delle vittime della strada nell’Unione europea entro il 2010. Il Programma parla di “responsabilità condivisa”. È scritto anche nel titolo.

Come svolgere il Programma? La Francia, per esempio, da allora parla di “violenza stradale” – e ha tradotto le parole in fatti.

E noi?

Questo è un post sulle parole. Solo sulle parole. Perché le parole, quelle precise, possono invertire le logiche su cui si basa il Sistema – che ha braccia, occhi, gambe e cervello.

Spesso, quando il lessico fallisce, si perdono le battaglie.

Penso che un incidente sia un cinghiale che mi salta sul cofano della macchina, quindi sbando e finisco a canale. Penso che incidente sia una parola che risolve perché porta in sé una risposta che rimanda alla fatalità. Penso che scontro sia invece una buona parola: è asettica, non risolve, non assolve. Magari ha un suono meno dolce e magari chi la usa come sinonimo all’inizio farà un po’ fatica a spenderla come prima scelta.

Magari invece di parole ce ne sono altre: proposte?

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