Aria estiva, aria di esodo e tutti partono in aereo, senza sapere che gli aviogetti, ci hanno tolto anche le eliche, sono molto più inquinanti di altri mezzi di locomozione. Ben il 10% dell’effetto serra, senza considerare i gas tossici da combustione di Kerosene e la dispersione del carburante nei cieli , spesso e volentieri per poter atterrare senza coerre rischi.

La Airline Deregulation del 1978 ha fatto sì che il mercato aereo entrasse nella fase di competitività e quindi tanto maggiore la disponibilità dei voli tanto più bassi e competitivi i prezzi. Ma questo ha comportato un costo enorme in termini di inquinamento. Secondo recenti ricerche (Wennberg, 2006, California Institute of Technology) la navigazione aerea è responsabile del 10% dell’effetto serra con un incremento destinato a triplicare entro il 2050. Anche in Europa le emissioni di gas a effetto serra, diversamente da quanto avviene in sede mondiale, sono state incluse nel sistema europeo di scambio delle quote di emissione (ETS) con la speranza di ridurre la quantità di CO2 del 46% entro il 2020 rispetto alle emissioni previste in assenza di ulteriori politiche. Per raffigurare immaginificamente le dimensioni del problema, un passeggero in volo, andata e ritorno, tra Londra e New York genera le stesse emissioni che una famiglia europea media produce in un anno per riscaldare la propria abitazione.

Gli aerei commerciali generano 600 milioni di tonnellate di CO2 l’anno. Liberano ossidi di azoto nella troposfera (la parte più bassa dell’atmosfera, sede dei fenomeni meteorologici); qui si ossidano nell’ozono troposferico che, a quell’altezza, innesca un potente effetto serra. Con le scie di vapore acqueo si dà luogo alla formazione di cirri che incarcerano il calore all’interno dell’atmosfera. Così il trasporto aereo arriva a incidere per un 10% sul totale dell’effetto serra. Gli effetti al suolo non sono meno importanti. Innanzitutto vige la regola di scaricare il carburante in eccesso in prossimità del luogo di atterraggio. Se l’aeroporto è su una rotta marina, lo scarico avviene in mare, viceversa sui territori spesso abitati. I decibel che normalmente in un’area abitata si aggirano sui 79-80, in prossimità di un aeroporto (Malpensa e Ciampino) si innalzano fino ai 150 dbA, quando i limiti dell’OMS prevedono 50-60 di notte e 60-70 di giorno. I comitati civici sono allertati, basti pensare alla battaglia contro l’ingigantirsi di Malpensa. In Italia, sulla spinta di compagnie low cost (Ryan, Aegean, Easy Jet), sono stati attivati aeroporti di secondo livello (Orio al Serio,Forlì, Parma, Crotone e si prevede l’attivazioni di piste militari -terzo livello- come Grosseto, Ghedi, Ampugnano, Gioia del Colle, Pratica di Mare). Nel frattempo sono state realizzate opere infrastrutturali di sostegno ad aeroporti come Olbia-Costa Smeralda-Villa Certosa mentre a Fiumicino è stata aperta la Cargo City. A fronte di questo sviluppo si osserva che la fonte di emissioni di gas serra più veloce del mondo, anche nella crescita, è paradossalmente rimasta fuori del Protocollo di Kyoto. La comunità internazionale non è concorde su dove allocare le emission trading per i voli internazionali se a carico del paese di partenza, paese di arrivo od addirittura il paese che ha venduto il kerosene. Secondo la Commissione Ambientale d’Inchiesta (EAC) del Parlamento britannico, nel 2050, il solo settore dell’aviazione rappresenterà ben il 66% delle emissioni del Paese. Nel Libro Bianco sull’Energia, il governo inglese, unico in Europa, si è dato per il 2050, l’obiettivo di ridurre le emissioni del 60% rispetto al 1990, viso che in Europa incrementi sfiorano l’87%. Da qui l’urgenza per mettere a punto un pacchetto completo di misure, comprendenti strumenti normativi, economici, tecnologici e operativi, onde affrontare tutti gli effetti del trasporto aereo sul clima, applicando il principio che chi inquina paga e quindi se paga può inquinare quanto vuole.

In attesa di introdurre la tassazione del kerosene e di imporre una tassa su tutti i voli nazionali e intracomunitari, la prima misure che l’Ue intende adottare è appunto un mercato delle quote di emissione (EU ETS) al trasporto aereo, La direttiva proposta riguarderà le emissioni prodotte dai voli civili effettuati all’interno dell’UE a partire dal 2011 e, dal 2012, anche quelle prodotte dai voli in partenza e in arrivo negli aeroporti dell’UE. Le disposizioni si applicheranno agli operatori aerei dell’UE e stranieri. La proposta della Commissione prevede di attribuire alle compagnie aeree quote annue negoziabili di CO2. Alla fine di ogni anno, esse dovranno scambiare una parte delle loro quote in proporzione alle tonnellate di CO2 emesse. In futuro il totale delle quote a disposizione delle compagnie aeree non potrà superare il livello medio delle emissioni (in tonnellate di CO2) prodotte nel periodo 2004-2006.

I voli all’interno dell’UE saranno inclusi nel sistema a partire dal 2011, mentre dal 2012 l’applicazione dell’ETS sarà estesa a tutti i voli internazionali in arrivo e in partenza dagli aeroporti dell’UE.

Come per gli impianti partecipanti al sistema di scambio delle quote, le compagnie aeree potranno vendere le quote eccedenti se ridurranno le proprie emissioni e comprare quote supplementari se continueranno ad emettere un eccesso di gas serra. L’entità dell’assegnazione iniziale, secondo la posizione comune dovrà essere stabilita a livello UE, al fine di evitare che le assegnazioni iniziali condotte a livello nazionale possano essere eccessivamente generose. La quantità totale di quote da assegnare agli operatori per il periodo compreso tra il gennaio 2012 e il 31 dicembre 2012 è equivalente al 100% delle emissioni storiche del trasporto aereo. Dal 2013 la quantità di quote da assegnare ammonterà al 100% per ogni periodo successivo moltiplicato per il numero di anni che costituiscono il periodo.

Mentre dunque per le emissioni nazionali ed europee ci sono questi provvedimenti, quelle generate dai voli internazionali aumentano, compromettendo i provvedimenti adottati dall’UE ed addirittura annullandoli essendo l’Europa rotta di tratte intercontinentali da e per l’Asia e le Americhe, senza considerare che, dal 1990 le emissioni dei voli internazionali sono aumentate nell’UE dell’87%, a seguito della riduzione delle tariffe dei trasporti aerei e della deregulation.

Un discorso a parte meritano gli aerei militari. Nel 2003, per il conflitto USA-Iraq, è stato calcolato quanto contribuisce all’effetto serra una guerra aerea. Un aereo da caccia tipo F-15E Strike Eagle o F16 Falcon dissipa 16.200 litri/ora; un bombardiere B52, 12.000 litri/ora; un elicottero da combattimento tipo AH64 Apache, 500 litri/ora. Un mese di guerra aerea comporta l’emissione di 3,4 milioni di tonnellate di CO: l’equivalente dell’effetto serra totale provocato in un anno da una città di 310 mila abitanti. Ma non c’è bisogno di guerra per avere migliaia di voli sui cieli europei di sola esercitazione.

Conciliare l’antimilitarismo con una sana concezione ambientalista anche propositiva non è difficile: E’ INUTILE, visti gli atteggiamenti supini dei nostri governanti.

Articolo Precedente

Our daily bread, il nostro pane quotidiano

next
Articolo Successivo

Cambiamenti climatici, biodiversità a rischio
Il Lemure del Madagascar verso l’estinzione

next