Di scuola si parla, ma soprattutto si straparla. Perchè nella stragrande maggioranza dei casi si ha in mente solo quando ciascuno di noi sedeva sul banco di un’aula. E invece la scuola, come del resto tutte le grandi aree della vita civile e sociale, si sviluppa: cambiano gli alunni perchè cambiano le generazioni, cambiano gli insegnanti, cambiano le risorse messe a disposizione per farla funzionare. Parlare di di scuola esige competenza, soprattutto quando si fa il ministro. E allora parliamone, Senza remore.

Ecco il primo spunto.

Il reclutamento degli insegnanti tutto alle Regioni, attraverso concorsi indetti dalle singole scuola, concorsi solo orali (magari in dialetto) sotto l’egida di una commissione nominata dalla giunta, quindi squisitamente politica. Qualche settimana fa il neogovernatore del Piemonte, Roberto Cota, per arginare le conseguenze dei tagli forsennati operati nella scuola aveva lanciato l’idea di ricorrere all’assunzione di insegnanti precari. Anche non abilitati, purchè piemontesi.

Una proposta peraltro senza né capo né coda, forse più che altro una provocazione per aprire un nuovo fronte di battaglia sul reclutamento degli insegnanti di stampo leghista. Ed ecco puntuale il deposito sia alla camera che al senato di un disegno di legge che porta il numero 3357 che, se andasse in vigore, stravolgerebbe non solo il sistema vigente, ma sarebbe persino in contrasto con le linee che la stessa attuale maggioranza sta delineando in questa materia. Punto di partenza per conquistare una cattedra sono i concorsi. Regionali, ovviamente.

Concorsi che vengono banditi ogni tre anni direttamente dalla scuole, singole o associate, attraverso una propria commissione. Requisito di partecipazione: l’iscrizione all’albo regionale. Ma qui arriva la prima forca caudina. Non solo perché possono fare domanda di iscrizione solo “i residenti”,  ma perchè bisogna essere abilitati in seguito al superamento di un esame di testi guarda caso gestiti da un apposito Comitato regionale per la valutazione guarda caso di nomina della giunta.

L’ultima parola per ottenere l’iscrizione all’albo spetterebbe comunque ancora alla giunta chiamata a dare l’ok per ogni candidato. Va detto che a concorso venggono messe tutte le cattedre vuote. Il che significa che non esisteranno più le graduatorie provinciali ad esaurimento. Precariato eliminato, allora? Niente affatto. E’ prevista, infatti, persino una carriera tutta “precaria”. Superato il concorso, infatti, comincia un periodo di prova di tre anni, dopo il quale il fantomatico Comitato di valutazione espresso da chi governa in regione decide chi è abbastanza bravo per essere assunto in maniera definitiva, oppure riceve un incarico a tempo determinato che può andare da 5 a 10 anni.

Comunque un incarico che si rinnova di anno in anno. Appunto come gli attuali precari, con l’aggravante di un contratti di lavoro tutto privatistico. Chi ottiene il posto fisso alla fine ha l’obbligo di avere la residenza dove insegna e di restare nella sede di nomina per almeno 5 anni. Forse questo potrebbe essere un punto per qualche ragione positivo soprattutto se si tien conto degli attuali meccanismi che consentono agli insegnanti di lasciare la classe in pratica quando vogliono. Ma la soluzione così concepita diventa di fatto oltre che discriminatoria, praticamente non sostenibile per le regioni del Nord. La maggioranza dei docenti, infatti, continua ad avere origine meridionale. Quindi si rischierebbe di non trovare nemmeno candidati a molte cattedre. Ancora una volta, dunque, un pastrocchio senza capo né coda. E guarda caso in netto contrasto con la costituzione.

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