E adesso il rischio concreto è che Totò Cuffaro, detto vasa vasa, l’uomo più potente dell’Udc, già delfino di Pierferdinando Casini, possa essere condannato per la seconda volta e per un reato notevolmente più grave del primo. Sì, perché i dieci anni chiesti per l’ex governatore siciliano sono legati al reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Alla sbarra con Cuffaro c’è poi anche l’imprenditore della sanità Michele Aiello, già condannato per mafia e ritenuto uno dei prestanomi di Bernardo Provenzano.

Il processo si svolge con rito abbreviato ed è una sorta di fotocopia di quello già arrivato in Appello con la condanna (favoreggiamento) a sette anni per lo stesso Cuffaro. Condanna aumentata di due anni rispetto al primo grado e rimodulata con la decisiva postilla dell’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso (il fatidico articolo 7 del codice penale). Si tratta dell’inchiesta sulle talpe. In sostanza Cuffaro avrebbe favorito la mafia rivelando particolari su indagini in corso. La richiesta è stata fatta dai pm Nino Di Matteo e Francesco Del Bene che nelle loro conclusioni hanno sottolineato di aver “dimostrato che il sistema di controinformazioni messo in piedi da Salvatore Cuffaro insieme con Antonio Borzacchelli, Giorgio Riolo, Giuseppe Ciuro, era puntato a scoprire indagini sui rapporti tra la mafia e esponenti politici o a lui collegati”. Ed e’ proprio la natura delle informazioni “che ci fa capire la portata di questo sistema e di come si possa configurare l’accusa di concorso in associazione mafiosa’. Le testimonianze di pentiti e di soggetti vicini all’imputato hanno dato, secondo i pm, ulteriore conferma alle accuse. “Fin dal 1991 i contatti con Angelo Siino (il minsitro dei lavori pubblici di Cosa nostra) – hanno detto i pm Di Antonino Matteo e Francesco Del Bene – dimostrano l’esistenza del patto politico-mafioso stretto da Cuffaro con esponenti di Cosa Nostra”

“Il pm sta dicendo cose che meravigliano persino me – è stata la reazione di Cuffaro – che quel periodo l’ho vissuto. Con tutta la mia fantasia non riesco a capirle”. Ben diverse le parole dei magistrati. Per i quali lo stesso “Provenzano riteneva Salvatore Cuffaro affidabile”. Parole pesanti dette dai pm e sostenute dal pentito Nino Giuffrè. Racconta l’ex braccio destro dello zu Binnu. ”Una volta Provenzano mi disse: lascia stare Cuffaro, ricordati che dobbiamo farlo stare a suo agio e non lo dobbiamo disturbare”. Di più: in quello stesso contesto il boss corleonese avrebbe confidato che “Cuffaro è un punto di riferimento preciso e una persona affidabile”. Insomma, grandi apprezzamenti da parte del padrino. Spiega il pentito: “Dopo l’appoggio elettorale a Forza Italia, Provenzano tornò al suo vecchio amore la Dc e i partiti nati dalle sue ceneri, perché pensava che gli ex democristiani sapevano rispettare i patti”. Questo il motivo, hanno sottolineato i magistrati nella loro requisitoria: “Nel 2001 Provenzano appoggiò Cuffaro alle elezioni regionali, ma, come spiega Giuffrè, da dietro le quinte per non bruciarlo”. La stessa tesi è stata confermato dal collaboratore di giustizia ed capo della mafia trapanese Maurizio Di Gati.

A pesare sulla posizione di Cuffaro ci sarebbe poi un pizzino di Provenzano, nel quale il boss dei boss farebbe riferimento a provvedimenti di indulto e amnistia sul tavolo di alcuni politici tra i quali quello che viene definito ”il nuovo presidente”. Stando alle dichiarazioni rese da Massimo Ciancimino, il presidente sarebbe proprio Salvatore Cuffaro. ”Non c’è motivo di ritenere – ha sostenuto Di Matteo – che attraverso la sua collaborazione Ciancimino jr abbia intenzione di ottenere benefici per i procedimenti a suo carico perché non ne ha mai avuti e inoltre non li ha mai chiesti”.

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