Triste compleanno per l’Alfa Romeo e i suoi dipendenti. Era il 24 giugno del 1910 quando nacque a Milano l’Anonima lombarda fabbrica automobili, che nel 1915 confluì nel gruppo di Nicola Romeo. E oggi, 100 anni dopo, i 232 impiegati del centro Stile e progettazione di Arese sono in cassa integrazione. E le ultime proteste, con tanto di blocchi stradali, non sono servite per evitare la chiusura. Il destino è segnato: al rientro  dalla cassintegrazione, previsto per il 2011, finiranno negli stabilimenti di Corbetta e Pregnana Milanese del Gruppo Fiat. Ad Arese rimarranno seicento lavoratori del reparto commerciale e call center. “Per l’Alfa Romeo – commenta Maria Sciancati, segretario della Fiom-Cgil di Milano – dopo tante vicissitudini è arrivata la fine. Il suo il rilancio promesso già 15 anni fa è rimasto solo sulla carta”. Nel 1993 si pensa addirittura  di costruire  auto all’idrogeno. Una bella idea che serve solo per sprecare soldi pubblici. Per i successivi quattro anni si susseguono solo leggi regionali, accordi sindacali che non danno i risultati sperati.

Dal 1998 la storia dell’Alfa e quella di Arese viaggiano su binari separati. Il marchio viene rilanciato tanto che la 156 vince il premio auto dell’anno. Mentre, a partire dal 2000,  il gruppo torinese decide di cessare la produzione di auto sportive: 650 licenziamenti e 160 provvedimenti di mobilità. A ruota l’idea di far cassa vendendo agli immobiliaristi parte dello stabilimento di Arese: 650mila metri quadrati vanno ad Aig Lincoln, colosso americanoi nel campo assicurativo.

Eppure l’Alfa Romeo era un vero orgoglio milanese e italiano. Un mito in fatto di eccellenza, prestazioni e innovazione tecnologica. Tanto da sedurre anche il guru dell’auto moderna Henry Ford: “Quando vedo un’Alfa Romeo, mi tolgo il cappello”. Ceduta nel ’29 all’ente statale Iri, l’Alfa arriva all’apice del successo negli anni ’70, quando ventimila operai varcano i cancelli dello stabilimento.

La casa milanese ha la sua vera forza nell’eccellenza del prodotto e dei lavoratori. La fama, però, non va di pari passo con la situazione finanziaria . Nel 1986 oltre due milioni di metri quadrati vengono ceduti dall’Iri di Romano Prodi alla Fiat con una dote da 1.600 miliardi di lire di finanziamento pubblico, ignorando la proposta di Ford che prevedeva investimenti per 4.000 miliardi di lire e l’aumento della produzione fino a 400mila vetture all’anno. La gestione Agnelli nasce sotto l’ombra della crisi. Si ridimensionano le produzioni, si svuota lo stabilimento e si taglia il numero di operai che nel 1993 scendono a 10mila. Un lento declino che dura 13 anni. Nel  2006 arriva un progetto targato Regione Lombardia: il master plan di Arese. Prevede che sul 50% dell’area si possa costruire, un po’ per il residenziale, un po’ per il commerciale. Tradotto: significa costruire villette e capannoni in un’area appetibile alle porte del capoluogo lombardo. E il 31 marzo 2008 si rimescolano di nuovo le carte: a Milano viene assegnato l’Expo del 2015 e Arese, a ridosso della zona espositiva, diventa terra pregiata. Per due anni si parla di infrastrutture, progetti, terreni da acquistare e poltrone da occupare. E il futuro di Arese lo ribadisce il 12 gennaio scorso Gianni Rossoni, assessore lombardo alle attività produttive: “un mix funzionale di terziario, commerciale e residenziale” su una superficie di 1 milione di metri quadri. Fine del binomio Alfa Romeo&Arese.

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