300 aquilani violano la zona rossa.

Riprendiamoci la città. E’ lo slogan che ha accompagnato la manifestazione di oggi, in zona rossa, quel centro storico dell’Aquila mai riaperto, militarizzato, controllato e con tanto di macerie mai rimosse, oggi come dopo il 6 aprile. Come tutti i centri storici delle frazioni del Cratere sismico.

Per la prima volta, gli aquilani hanno forzato i blocchi delle forze dell’ordine – che, dopo una breve resistenza, hanno preferito evitar disordini e lasciare che la manifestazione spontanea si svolgesse – e sono rientrati a Piazza Palazzo. E’ la piazza dove un paio di mesi fa si celebrò un Consiglio Comunale all’aperto in segno di protesta per la ricostruzione mediatica e per la mancata sospensione delle tasse – una questione, nonostante tutte le promesse, ancora da definire, visto che da giugno si ricomincerebbe a pagar tutto, arretrati al 100% inclusi -, con il Tg5 che ribaltava il senso dell’iniziativa e mostrava le immagini affermando che si stava festeggiando la riapertura del centro storico.

Sara Vegni, del Comitato 3e32, che da mesi è fra le realtà aquilane più critiche sull’operato della Protezione Civile, racconta: “Sull’onda dell’indignazione per le intercettazioni telefoniche, tanti aquilani hanno deciso di trovarsi in piazza spontaneamente, per riprendersi un pezzo della loro città. C’era gente con i cartelli “Noi non ridevamo”. E poi sono subentrate altre motivazioni, fra cui la voglia di rivivere il nostro centro storico. Piazza Palazzo è impressionante, era il fulcro della vita cittadina prima del sisma ed è ricoperta di immondizia, oltre che di macerie”. Federico D’Orazio racconta lo “sfondamento”: “C’era il solito posto di blocco con i militari e la Digos. Abbiamo chiesto di entrare ma il permesso ci è stato negato. E allora abbiamo sfondato, visto che lì pericoli non ce ne sono: a Natale ci hanno fatto pure la trasmissione con Bruno Vespa e i bambini, quindi…”

Quindi, oggi nessuno può ribaltare il senso di quel che è accaduto: a violare la zona rossa c’erano anche signore e signori dell’Aquila bene. Federico continua: “Abbiamo diritto di sapere in che condizione è la nostra città. Non solo: tutta l’Italia deve sapere che il centro non è stato riaperto. Ci fanno passare attraverso il Corso principale perché da lì sembra tutto a posto. Appena arrivi in Piazza Palazzo, ti accorgi che non è così. Il centro è distrutto e all’abbandono. E i posti di blocco funzionano per i cittadini ma non per i ladri, che continuano a rubare quel che possono”. In piazza sono stati portati cartelli e striscioni, foto di macerie, di auto distrutte lasciate ancora dove si trovavano il 6 aprile. C’era una persona vestita da fantasma, e sul lenzuolo c’era scritto “L’Aquila”.

Insomma, le persone che sono scese in piazza oggi vogliono denunciare di essere state vittime di una ricostruzione mediatica. E vogliono anche dire la loro sullo scandalo che riguarda il Dipartimento Nazionale della Protezione Civile e i suoi vertici, che all’Aquila hanno gestito dall’alto un’emergenza pPrendendo decisioni definitive, costruendo, ignorando le istanze locali. Le persone che si sono ritrovate in piazza non ridevano, la notte del 6 aprile, alle 3 e 32. E ora chiedono trasparenza sulla gestione della loro emergenza, sulla costruzione delle C.A.S.E. e sul futuro della loro città.

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