Ho sempre distinto negli anni tra le posizioni e i comportamenti di Antonio Di Pietro. Riassumendo in un’immagine da bar, il leader acclamato dal suo congresso ha comunque difeso politicamente da sempre il codice della strada da chi vuole abolirlo anche se ahilui personalmente ogni tanto è stato beccato a passare con il rosso. Che non è il massimo, per un difensore di quel medesimo codice, pur restando imparagonabile con chi al codice darebbe spicciamente fuoco per comodità.

Ma stavolta non si tratta di semafori, né di codici. Oppure si tratta di codici addirittura più importanti, metapolitici per così dire, antropologici, culturali (so che l’aggettivo giustapposto al Nostro fa sorridere, ma la cultura cui mi riferisco qui non dipende necessariamente da Kant e a volte può persino storpiare un congiuntivo).

E quindi temo proprio di non aver capito, oppure – il che sarebbe peggio – di aver capito troppo bene. Non ho capito la "svolta di Salerno", anche se sottoscrivo quello che ho trovato ieri qui a firma del direttore sulla "sterile protesta" condannata dal tribuno dalla tribuna dell’Italia dei Valori. Non ho capito come il paladino della legalità-codice della strada abbia trasformato il congresso in uno show-room per auto usate, anche se Marco Travaglio ha fornito sempre qui e sempre ieri, una schedina inconfutabile sul "compagno" merendiere Enzo De Luca, e sui suoi "meriti" incompresi di rinviato a giudizio plurimo che lo rendono un candidato perfetto del Pd per le regionali in Campania.

E non ho neppure ben capito le spiegazioni-giustificazioni di Di Pietro e company, eccettuato De Magistris, nel congresso acclamante anche se da almeno tre giorni i media ne parlano. Ma come ne parlano? Esattamente nella logica della politica politicante ed esercente che ha fottuto il presente e sta fottendo il futuro di questo paese cui Di Pietro pareva voler porre argine sia pure (come detto) contraddittorio. Vediamo di che si tratta, in una visione del tutto personale che in questa fattispecie se ne frega di giustizialismi e di realismi di governo e di opposizione.

Intanto "sterile protesta" è offensivo. E’ offensivo per tutti coloro i quali confidando in Di Pietro oppure anche solo votandolo per "legittima difesa" sono scesi in piazza o in cortile testimoniando in suo favore. "Sterile" perché non porta abbastanza voti per battere Berlusconi nelle urne? Sterile perché ha bisogno di sommarsi ai voti del Pd? Sterile perché dà troppo poco potere o si ha troppa poca fiducia nel resistere all’opposizione senza cedere a compromessi troppo vistosi? Meglio quindi un Compromesso Politico maiuscolo che tante trattative minuscole?

Forse: ma tutto ciò avrebbe un senso se parlando di Berlusconi lo si intendesse solo come avversario politico, come "dittatorello", come portatore di regime, come spavento illibertario. Ma se invece quello che teme una parte non irrisoria di paese è quella maledizione del berlusconismo come stile di vita, come mancanza di valori, come indifferenza alla trasmissione di sapere e saperi, come totale disprezzo della democrazia (se non elettoralistica: e dunque Tonino si adegua?) e della sua Carta fondante ecc., allora Di Pietro ha sbagliato indirizzo.

Offre "semplicemente" a cassetta con Bersani sulla diligenza dell’opposizione un’alternativa a base di dipietrismo che rischia di svuotarsi di contenuti. Così Di Pietro non sembra mutare di segno le voragini antropo-culturali di quest’Italia rivolta all’indietro, ma solo giocare una partita di ping-pong presumibilmente in perdita e comunque con palline sgonfie (cfr. De Luca). Non basta stigmatizzare la protesta come "sterile" ed enfatizzare l’opposizione rinforzata ma solo numericamente e nominalmente. Forse sarebbe il caso di dare un’occhiata ai contenuti, e di “tornare a scuola”, se non è troppo tardi. Ah, intendevo a "Scuola Guida", naturalmente…

Da il Fatto Quotidiano del 10 febbraio

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