Lo scrittore americano a muso duro

di Beatrice Borromeo

Io sono l’unica persona degna di essere paragonata a me stesso. Si dirà che lui se lo può permettere, perché i suoi libri sono, è vero, eccezionali. Ed è raro che un’epoca sia in grado di riconoscere un talento,dionorarloecomprenderlo, soprattutto quando è in vita e ancora giovane. Per questo James Ellroy può essere antipatico, arrogante e indifferente ai problemi del mondo senza che ciò lo sminuisca. Questo ne fa un personaggio che ormai sembra accompagnarlo anche quando è solo, che vive di letteratura e la cui realtà è non-vita.

Ellroy, autore di capolavori del noir come LA Confidential e White jazz, è a Milano per presentare Il sangue è randagio (Mondadori, 859 pagine, 24 euro), conclusione di una trilogia – cominciata ben 15 anni fa con American Tabloid – che segna il suo passaggio ai “grandi libri politici”. James Ellroy dedica mezz’ora a ogni intervista, riceve i giornalisti in una saletta del Principe di Savoia allestita con una ventina di copie del suo ultimo masterpiece, come lo chiama lui. È alto, calvo. Ha un vistoso cerotto sotto il mento. Siede scomposto e parla scandendo ogni frase, come se facesse lezione.

Perché scrive?

 

Voglio ricreare la storia secondo i miei canoni. Voglio soddisfare la mia curiosità sull’epoca che descrivo. Non ho nessuna intenzione politica.

Perché cerca sempre di distruggere i grandi miti americani?

 

Il punto è che mi piace. Mi dà una grande soddisfazione emotiva farlo. Quando ero giovane avevo più senso civico ed ero certo che ci fosse un’America segreta di cui nessuno mi parlava. Quindi è semplicemente naturale, visto il mio dono, che crescendo diventassi cronista di quel mondo segreto che avevo ipotizzato da ragazzo.

Pensa che Barack Obama sia, come John Kennedy, un personaggio da smitizzare, un nuovo grande bluff?

 

Io non penso all’America di oggi, penso esclusivamente all’America dei miei libri: ecco fino a che punto sono isolato. Passo la maggior parte delle mie notti al buio, da solo, soppesando il significato dei libri che scrivo. Il sangue è randagio è una consapevole negazione del mondo così com’è. Questa società e la cultura di oggi non significano niente per me.

A lei non importa del presente?

 

Non me ne frega un cazzo.

Perché no?

 

Perché mi distrae,perché è uno stimolo eccessivo. Perché niente là fuori è più appagante e coinvolgente per me che vivere dentro me stesso e scrivere i miei libri.

In Italia abbiamo una memoria storica molto breve. Dimentichiamo in fretta e ripetiamo gli stessi errori. Quale rischio corre un Paese che non ricorda?

 

Non lo so. Non penso a queste cose. Penso solo alla merda che mi porta dal punto A al punto B. Io mi concentro su aspetti molto limitati, precisi. Quando avevo tredici anni ho individuato sei o sette cose che mi interessavano: sono ancora quelle. Io sono un autore incredibilmentedisciplinatoedèperquesto che riesco a scrivere un libro così grande, così complesso e così pieno di significati. Di conseguenza tutto ciò che contraddice il mio obiettivo o devia il mio percorso, lo spingo via.

Che sa dell’Italia?

 

Non molto. Mi piace Milano più di Roma. C’è un senso meraviglioso del design. Mi piacciono le architetture fasciste degli anni Venti, per esempio l’appartamento di Arnoldo Mondadori, il più bello che abbia mai visto. Poi i magnifici anni Trenta. Comunque non mi piace viaggiare: vorrei stare solo, o con la mia donna. Mi piace pensare. Sarei molto, molto felice di non viaggiare mai più. Ma mi piace andare a presentare i libri.

Per raccontarli?

 

No, per venderli.

Per il successo o per i soldi?

Perché voglio che la gente legga i miei libri. Voglio che vengano mossi, sconvolti, scioccati. Strappati fuori dalle loro vite ordinarie e risucchiati in un mondo di storie ossessive.

È annoiato o divertito quando le danno del razzista?

 

Non me ne frega niente, soprattutto se serve a vendere più copie. Se le polemiche aiutano a pubblicizzare i libri e a far felice la Mondadori, qualunque cosa dicano di me, sono completamente d’accordo. Non credo di dovermi giustificare con la gente. Spiego le dinamiche del razzismo con un linguaggio razzista. Se la gente lo accetta o no, è una questione valida, ma che non m’interessa.

In questo libro molti personaggi sono uniti dall’odio.

 

Questo è un libro che parla di uomini cattivi che amano donne forti. È un libro che parla di assassini che riescono a virare, a modificare le loro convinzioni utilizzando principalmente le donne come strumenti di conversione. Questo è un libro di speranza, di salvezza, redenzione e tormento. C’è odio nel libro, ma va attraversato per arrivare all’amore…

E per arrivare a Dio?

 

Esatto. Ma non mi interrompa mai più.

Scusi. Ne Il sangue è randagio un personaggio, Wayne Tedrow jr, ha una relazione con la moglie di suo padre, Janice. Che rapporto è?

 

È amore. Io vivo da sempre quest’attrazione verso le donne più vecchie. Con la differenza che le donne che mi piacevano da bambino erano più giovani di come sono io oggi.

Nel libro Janice è malata terminale, e Tedrow jr la ama dandole eroina per farla stare meglio. Esiste per lei un’idea più sana di amore?

 

Ce l’ho nella mia vita. Siamo fino alla morte, la mia donna e io. Alcuni personaggi dei miei libri, come Joan Rosen Klein e Karen Sifakis, sono basati sulle mie ex mogli. Erano relazioni dolorosissime. Avevo due opzioni: onorare le due donne che ho avuto, e quello che mi hanno dato, anche se tutti ne siamo usciti male, oppure ignorarle. Ho scelto di onorarle.

Nell’ultimo film di Ken Loach c’è questa frase: “I momenti più insopportabili sono quelli in cui siamo stati felici”. Condivide?

 

No, sono contento di aver vissuto tutti i momenti. Comunque Ken Loach è un coglione.

Perché ha deciso di tagliarsi i baffi?

 

Me l’ha chiesto la mia ragazza. Dice che sono più bello senza…

Perché ha detto che non avrebbe mai fatto figli?

 

Ho passato molto tempo negli ultimi anni cercando di fare una figlia. È un desiderio che è arrivato tardi nella mia vita. Ho provato a convincere alcune donne a farlo, ma alla fine non è mai successo. La mia fidanzata però ha due figlie.

Perché desiderava una femmina?

 

Non so, ho sempre voluto una femmina.

Le donne, il filo conduttore della sua vita: il suo prossimo lavoro s’intitolerà col cognome di sua madre.

 

Sarà un libro breve, una memoria. Si chiamerà La maledizione Hilliker e parlerà delle donne e di me. È la storia della mia fissazione verso le donne. Il nome di mia madre era Hilliker e, anche se non voglio dare una direzione al libro, il titolo viene da lei perché i miei rapporti con le donne derivano da lei.

Crede ci sia qualcosa dopo la morte?

 

Sì, credo che incontrerò mia madre.


Le fa paura l’idea?

 

Spero capiti il più tardi possibile ma no, non mi fa particolarmente paura.

La morte è anche nel titolo del suo ultimo libro, tratto da una poesia che dice: “Il sangue è randagio. Il respiro è merce che non si conserva. In piedi, ragazzo: quando il viaggio sarà finito ci sarà tutto il tempo per dormire”.

 

È vero. Il titolo “Il sangue è randagio” parla del logoramento morale che la cattiveria provoca nei giovani avventurosi.

Lei è stato in posti bui: l’assassinio di sua madre, i furti, le droghe, le cliniche di riabilitazione. Come si affronta il dolore?

 

Credo profondamente in Dio. Prego. Sto molto tempo da solo. Ho buoni amici e una fidanzata. Sa cosa? La vita è bella. A me non piace soffrire. Sono un uomo felice, nella mia anima.

È stato un percorso?

 

Tendo a comportarmi male, a essere ossessivo. Ho un rapporto molto aggressivo col mondo ma cerco di rimediare ai miei peccati.

I suoi libri sono visuali.

 

Immagino ogni scena mentre scrivo: le imposto così.

C’è molto ritmo.

 

Ma non è musica, è concisione, sintesi. Voglio fare libri il più precisi possibile.

Le piacerebbe se Quentin Tarantino girasse un film tratto da uno dei suoi libri?

 

Mi fanno intensamente schifo i film di Tarantino. Sono frivoli, sciocchi, da scartare.

Però ha dichiarato che le è piaciuto il film di Brian De Palma, La Dalia nera.

Non mi è piaciuto. Il mio libro era molto più profondo del film. Ma il punto è che a me non frega molto dei film. Mi pagano la percentuale, tutto qua. A volte fanno buoni film, come LA Confidential, a volte no. Ma io non vado al cinema. Non leggo libri né giornali. Non uso neanche Internet, non avrei mai un telefono cellulare: posso aspettare di arrivare a casa se qualcuno vuole parlarmi. Io isolo il mio tempo. Non penso a niente eccetto che alla mia vita immediata e ai libri che scrivo. E a molte poche persone.

È vero che lei non legge perché ha paura di contaminare il suo stile?

 

Io sono autoreferenziale. Egoriferito. E il risultato di essere così assorbito da me stesso è che mi paragono solo col mio lavoro, non con gli altri. Me contro me stesso. Io non mi fido dell’ansia del mondo e della raffica di concetti che impone: c’è troppa musica, troppe immagini ti aggrediscono in continuazione nelle pubblicità. Troppo rumore, troppe persone.

Chi le sta vicino non soffre del fatto che lei sia l’unica cosa che le interessa?

Molti dei miei amici sono colleghi, capiscono. Siamo nello stesso business. Sono utile a pochissime persone, ma lo sono profondamente. Ci sono, anche se la mia prima preoccupazione resto io.

E non le importa del futuro?

 

Ho una visione precisa del futuro, conosco già tutti i libri che scriverò per il resto della vita. So chi è la donna con cui voglio finire i miei giorni. È più di quanto la maggioranza delle persone sappia.

11 settembre. È troppo recente per parlarne?

Avrei voluto che Ronald Reagan fosse stato il presidente: avrebbe bombardato l’Afghanistan e non ci sarebbe stata una guerra in Iraq.

Per quale libro vuole essere ricordato?

 

Io voglio essere ricordato per tutti i miei lavori. Ora c’è il mio ultimo libro. Ma io sono uno scrittore e la mia opera d’arte è la mia intera produzione.

Lei ha detto di essere il miglior scrittore nel suo campo che sia mai esistito.

 

Sì, perché è vero. Sono consapevole della mia grandezza, di quello che mi sono costati questi libri, personalmente e professionalmente. Io ho un grande eroe, un eroe creativo: Beethoven, il genio più sfortunato mai generato dalla nostra civiltà. Il migliore musicista di tutti i tempi. Ha scritto le sue più visionarie composizioni quando era completamente sordo. Come faccio a sbagliare se Beethoven ha fatto ciò che ha fatto in quelle circostanze? Quando un uomo come lui fa delle cose così grandi – ride – io non mi arrendo.

Ellroy si alza e se ne va. Strascica i piedi come lo storpio che si fingeva Keyser Söze in I soliti sospetti, col corpo sbilanciato su un lato, la schiena curva e l’aria assente. Elegante e annoiato. Fa entrare le signore nell’ascensore per prime, e per tutto il tempo in cui non parla di sé, guarda per terra.

da il Fatto Quotidiano del 2 febbraio

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