Nuovi elementi sull’ipotesi-depistaggio. spatuzza ritenuto attendibile: per lui nuova richiesta di protezione.

di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

Il pm Alfonso Sabella, oggi giudice a Roma, lo aveva detto 18 anni fa: Vincenzo Scarantino è un pentito ‘’fasullo dalla testa ai piedi’’. Oggi arriva la duplice conferma: l’ex picciotto della Guadagna, considerato il teste-chiave della strage di via D’Amelio, ha confessato di avere sempre mentito e Gaspare Spatuzza ha ottenuto l’attestato finale di attendibilità dai pm di Firenze e Caltanissetta, che per lui hanno chiesto l’applicazione del programma definitivo di Protezione. Tra il vecchio e il nuovo pentito di via D’Amelio, gli inquirenti nisseni hanno scelto di credere a Spatuzza che confessando il furto della Fiat 126 utilizzata per uccidere Borsellino ha sbugiardato Scarantino. E quest’ultimo oggi ammette: “Ho reso false dichiarazioni, mescolando circostanze realmente accadute ad altre apprese dalla lettura dei giornali e atti giudiziari”. Scarantino è crollato dopo i primi due interrogatori nei quali si era avvalso della facoltà di non rispondere, ed ha ammesso anch’egli – dopo le ritrattazioni di Salvatore Candura e di Francesco Andriotta, gli altri due sostegni della vecchia indagine – di avere raccontato un cumulo di menzogne. Candura è il sedicente autore materiale del furto della Fiat 126, Andriotta è un ex compagno di cella di Scarantino che ne avrebbe raccolto le confidenze in carcere. Si sgretola così l’impianto processuale d’argilla che ha faticosamente retto a nove processi e tre gradi di giudizio, fino in Cassazione, e da oggi i magistrati e gli inquirenti di Caltanissetta iniziano a scrivere una nuova storia investigativa della strage più misteriosa del nostro paese, quella che il 19 luglio 1992 ha aperto la strada alla Seconda Repubblica.

Una storia che riparte dalle fasi immediatamente successive al botto di via D’Amelio. Scrivono infatti i pm nella richiesta di protezione per Spatuzza: “Se le indagini dovessero confermare la nuova e diversa versione dei fatti fornita da Spatuzza, si aprirebbero inquietanti interrogativi sulle cause, ragioni e modalità della diversa ricostruzione investigativa – effettuata nella fase iniziale delle indagini – di alcuni importantissimi segmenti della fase esecutiva di un evento che ha segnato la storia d’Italia; evento che ancora oggi presenta numerosi aspetti oscuri e interrogativi irrisolti”. Qui entriamo nel cuore del “depistaggio”: la falsa pista che, ruotando attorno a Scarantino, ha consegnato ai magistrati di allora una verità inventata, portando in carcere alcuni innocenti e lasciando fuori i veri responsabili della strage.

Per questa ragione, i pm stanno valutando adesso la possibilità di trasmettere gli atti alla procura generale per avviare il procedimento della revisione processuale che alimenta un interrogativo cruciale: chi si adoperò per indirizzare le indagini sul gruppo di balordi della Guadagna? E soprattutto: perché lo fece? Secondo i pm, che stanno indagando su tre funzionari di polizia del gruppo Falcone-Borsellino, l’inchiesta sul depistaggio dovrà verificare se “gli interventi di polizia giudiziaria siano stati causati da volontà di mutare il vero o, invece, da una convinta anche se errata valutazione dei fatti allora acquisiti, rappresentata con “metodi forti” a Candura prima, e successivamente ad Andriotta e Scarantino”. I tre hanno accusato i poliziotti di avere utilizzato “pressioni psicologiche” con l’obiettivo di strappar loro le false confessioni. E, a riscontro delle menzogne raccontate in passato da Scarantino, i magistrati hanno raccolto le dichiarazioni del pentito catanese Giuseppe Ferone, detenuto nel ’99 con il picciotto della Guadagna nel carcere di Velletri. A lui Scarantino avrebbe confidato la sua estraneità alla strage. Dopo aver analizzato le bugie di Scarantino, i pm indagano adesso sulle verità di Spatuzza che avrebbero ottenuto un nuovo riscontro: il nome del complice da lui citato nel furto della 126, Vittorio Tutino, era già stato indicato dal pentito Tullio Cannella che, interrogato in questi giorni, ha confermato di aver ricevuto, poco dopo la strage, confidenze da Tutino che sottintendevano un suo coinvolgimento. Nella richiesta finale di applicazione del Programma di Protezione nei confronti di Spatuzza, ritenuto in condizioni di “grave e attuale pericolo”, i magistrati considerano infine superate le perplessità suscitate all’inizio da alcune delle rivelazioni del pentito di Brancaccio, in particolare sulla sottrazione delle targhe di un’altra Fiat 126 nella carrozzeria di Orofino (si tratta delle targhe “pulite”, apposte sull’autobomba e poi ritrovate in via D’Amelio) e, grazie all’analisi dei tabulati telefonici, ritengono chiarito anche il momento storico nel quale Spatuzza ricevette da Fifetto Cannella l’incarico di rubare l’auto per la strage. Sono adesso, per i pm, dichiarazioni “convincenti e logicamente coerenti con la ricostruzione dei fatti complessivamente fornita”. Si apre, da questo momento, una nuova stagione giudiziaria: quella della ricerca della verità, stavolta si spera genuina, sulla morte di Paolo Borsellino e sullo stragismo in Italia.

da Il Fatto Quotidiano del 23 gennaio 2010

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