Ieri l’assemblea per denunciare la "desertificazione" delle procure

Alla fine ci vuole un moderato come Francesco Messineo per spiegare quello che tutti sanno e nessuno ha il coraggio di dire. Il procuratore capo di Palermo è un mite magistrato che coordina nella riservatezza assoluta le indagini più delicate sui rapporti tra mafia e politica.

In questi giorni il suo ufficio sta ascoltando Massimo Ciancimino sugli inizi di Berlusconi e sui rapporti di Marcello Dell’Utri con la mafia ma lui è talmente poco protagonista da non essere nemmeno citato su Wikipedia. Ieri ha preso la parola all’assemblea dell’Associazione nazionale magistrati per denunciare il movente degli ultimi atti del governo: "Vogliono far abbassare la cresta all’ufficio del pubblico ministero".

Inutile girarci intorno. Per Messineo, dietro le ultime novità della politica giudiziaria del governo, a partire dal decreto sui trasferimenti di ufficio dei magistrati contro il quale è stata indetta l’assemblea di ieri, c’é "l’obiettivo di tagliare le unghie alle procure e il governo lo farà affidando le indagini nelle sole mani della polizia giudiziaria e inserendo nei ranghi della magistratura persone che non hanno vinto il concorso".

Ieri l’Anm ha convocato i magistrati ma anche la società civile e i giornalisti per lanciare l’allarme sulla "desertificazione delle procure". E Messineo sa bene il significato di questo termine astruso: a Palermo mancano 17 pm su 62. "Perché indeboliscono la Procura di Palermo?" si è chiesto ieri il procuratore, "è come se durante una battaglia il contendente che ha le armi migliori improvvisamente decidesse di deporle per dare la vittoria all’avversario".

Messineo non poteva rispondersi, ma basta leggere l’elenco dei politici del Pdl che sono stati, indagati, imputati e condannati grazie al lavoro di quell’ufficio per capire perché. La ragione dell’assemblea di ieri è il decreto legge del ministro Alfano che scalfisce l’inamovibilità dei magistrati e li obbliga a trasferirsi nelle sedi disagiate, come Gela, Crotone o Sciacca, senza fiatare.

Un atto unilaterale, giustificato sì con l’oggettiva carenza di domande per quelle sedi, ma che offre a un problema vero una risposta sbagliata. Il decreto deve essere convertito entro sessanta giorni e le toghe hanno convocato l’assemblea pubblica di ieri per dire forte il loro no e per lanciare l’allarme sulla desertificazione delle procure. Il colpo d’occhio per chi arriva nel palazzaccio della Cassazione è da grandi occasioni.

Una vignetta di Martello sui pm Avatar, costretti a clonarsi, accoglie i giornalisti. C’è un megaschermo con le poltroncine e le lampade riscaldate per il pubblico. I camerieri in livrea sono pronti per l’immancabile rinfresco. Il presidente Luca Palamara apre con un dato secco sui pm mancanti all’appello: “In due soli anni le scoperture di organico si sono quadruplicate passando da 68 a 249”. È l’effetto di una geografia ribaltata nella quale le province più periferiche sono le capitali del crimine. L’abbandono di interi territori da parte dello Stato è stato favorito da due provvedimenti.

Il primo del precedente governo Berlusconi impone limiti ferrei al passaggio dalla carriera di giudice (preferita dalla maggioranza dei magistrati) a quella di pm. Il secondo, approvato dal centrosinistra nel 2006, impedisce ai giovani che hanno appena vinto il concorso di svolgere le funzioni di pubblico ministero o di giudice monocratico. Il risultato è il deserto descritto da Palamara. La proposta dell’Anm presentata ieri a Roma è quella di tornare, in via temporanea, al vecchio regime per i giovani pm che permetterebbe di coprire subito le sedi vacanti. I magistrati chiedono ad Alfano di inserire la modifica nel decreto in sede di conversione e ieri avevano anche invitato il ministro e molti esponenti della maggioranza per discuterne.

Ma non si è visto nessuno. Il clima è quello di un braccio di ferro durissimo. Altro che dialogo. Il presidente dell’Anm ieri ha detto che “i magistrati sono pronti anche allo sciopero perché l’Anm non potrà assistere inerme allo svuotamento degli uffici delle procure". Alfano ha risposto gettando benzina sul fuoco: "Sarebbe gravissimo solo ipotizzare uno sciopero che, in quest’ottica, rappresenterebbe un’inammissibile protesta contro le leggi dello Stato, indetta proprio da coloro che dovrebbero ergersi a custodi delle stesse".

Il ministro ha buon gioco a mettere nell’angolo i magistrati accusandoli di voler difendere un privilegio, l’intrasferibilità, anche quando non tutela i cittadini ma va contro i loro interessi. Alfano accusao i magistrati che vogliono spedire i giovani in trincea di "nonnismo". Il pm Henry John Woodcock non la pensa così: "I giovani sostituti in alcune zone d’Italia sono una risorsa perché non hanno legami con il territorio e sono una garanzia di indipendenza". Il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini spiega il trucco di Alfano: "Altro che nonnismo, è l’intervento del governo a essere oltre che inefficace anche fortemente penalizzante per i magistrati più giovani".

Nei fatti, secondo Cascini, a causa dei criteri che imporranno al Csm di spedire coattivamente nelle sedi didagiate i giudici più vicini e con meno punteggio, "accadrà che a Sciacca andranno i giudici civili di Marsala con quattro anni di esperienza. Noi pensiamo sia meglio permettere a un giovane motivato di andare in procura al primo incarico piuttosto che obbligare un giudice civile a un trasferimento che non vuole".

Il governo aveva provato a incentivare i magistrati con un aumento di 1700 euro al mese. Ma evidentemente non bastano per convincere un giudice di Roma ad andare a fare il pm a Crotone. In fondo entrambi i rimedi proposti (i trasferimenti coatti di Alfano e la scommessa sui giovani dell’Anm) sono due palliativi per un disagio più profondo: il calo di tensione civile della magistratura e del paese.

Da Il Fatto Quotidiano del 17 gennaio

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