Rosarno è esplosa. Può succedere il peggio, la rivolta dei neri rischia di finire con un morto ora che la protesta è già guerriglia. Sono tutti contro tutti. I neri contro i bianchi. Chi fino a ieri, ma per meri interessi economici, "tollerava" la presenza di quei ragazzoni alti dalla pelle scura che vagavano per gli agrumeti della Piana, ora è in piazza a fare ronde.

Chi era "tollerante" e solidale perché questo gli imponevano formazione e cultura, ora ha paura. E poi c’è chi soffia sul fuoco, perché ha già deciso che la rivolta dei neri può tornare utile.

La ‘Ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, la più forte, la più ricca, quella più impregnata di rapporti con la politica. Può succedere di tutto a Rosarno, ecco perché sono stonate, fuori luogo, fuorvianti e pericolose le parole del ministro dell’Interno Maroni. Ha parlato da leghista o da capo della sicurezza nazionale di questo paese? Dove sta, dove ha visto questa “troppa tolleranza verso gli stranieri”? Qui l’unica “tolleranza”, alimentata dall’assenza dello Stato, dall’indifferenza, dallo sfascio della Pubblica amministrazione e dalle complicità, è nei confronti di chi sfrutta i migranti.

Si è tollerata la riduzione in schiavitù di quei 50 mila lavoratori stranieri senza identità e senza diritti che vagano per l’Italia seguendo il ciclo delle stagioni e dei raccolti. 50 mila, una città intera fatta di cartoni infraciditi dall’acqua, di bidoni dove bruciano plastica e carta per riscaldarsi, di cessi colmi di escrementi, di acqua che non c’è per lavarsi.

Diaby Sekou aveva da poco superato i vent’anni, era ivoriano ed era venuto in Italia per guadagnarsi il pane. Si rompeva la schiena nel Tavoliere delle Puglie per una ventina d’euro al giorno. Non era nessuno. È morto di freddo il 22 dicembre mentre l’Italia battibeccava sul white christmas. Il suo corpo riposa sotto la terra d’Africa grazie alla solidarietà dei braccianti italiani (esistono ancora) e del loro sindacato, la Flai-Cgil. Anche Diaby era “tollerato”, come le migliaia di suoi compagni col volto nero degli africani o con la pelle pallida di chi viene dall’Est, che affollano le tante Soweto italiane, le banlieue diffuse a macchia di leopardo nel sud dell’Italia.

San Nicola a Varco (Eboli), Cassibile (Catania ), e poi Cerignola, Stornara, Stornarella (Puglia), Castelvolturno (Campania). E la Calabria. Zone del sud che hanno un’agricoltura forte e di qualità che sopravvive solo grazie a uno sfruttamento bestiale del lavoro. I 3.000 braccianti neri che vivono tra Rosarno e gli altri paesi della Piana (un crogiuolo di 37 nazionalità diverse) guadagnano 20 euro al giorno, 22 in meno di un lavoratore italiano.

Sei euro è la tangente che tocca al “caporale” che li porta sui campi, ne restano 14. Per vivere in Italia e per far vivere gli altri della famiglia che sono rimasti in Ghana, in Burkina Faso, in Burundi o in Senegal. Vivono in una ex cartiera che il 20 luglio scorso è andata a fuoco, distruggendo tutto e ferendo quattro di loro. All’alba affollano la statale 18 in attesa dell’ingaggio, come quarant’anni fa i braccianti italiani. Il “caporale” li caricherà su un furgone e li porterà in campagna.

Sono bianchi, ma anche neri: sempre legati alla ‘Ndrangheta. I Pesce di Rosarno, i Piromalli di Gioia Tauro, clan potenti che controllano tutto nella Piana, dal porto, ai centri commerciali, ai lavori pubblici, all’agricoltura, alle amministrazioni comunali. Desta più d’un sospetto il ferimento dei due migranti, la scintilla che ha fatto scoppiare la rivolta.

Due persone, diverse tra di loro per ruolo e cultura, la pensano allo stesso modo. “Appare strano – dice Domenico Bagnato, il commissario mandato dalla prefettura dopo lo scioglimento del comune per mafia – che due immigrati siano stati feriti in concomitanza con la riunione per l’ordine e la sicurezza pubblica”. Convocato dopo la bomba di mafia alla Procura generale di Reggio. “La Calabria e la ‘Ndrangheta – riflette Peppino Lavorato, comunista e storico sindaco antimafia – erano in prima pagina, ora, dopo gli spari di quei due picciotti, la rivolta dei neri ha conquistato i grandi titoli. Forse i boss puntavano a questo”.

Rosarno, un’altra notte di tensione. La città è lacerata. Don Pino de Masi, prete e animatore di Libera, è tra i neri, i preti della Caritas, sono lì, i volontari di Medici senza frontiere portano conforto. Conoscono tutti. Tocca a loro ricucire la ferita tra i bianchi e gli schiavi. Loro ci sono da sempre, lo Stato no.

Da Il Fatto Quotidiano del 9 gennaio

 

Link Video: Rosarno, prima della cacciata degli schiavi

Link Video/2: Rosarno, scontri in strada nella notte

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