di Malcolm Pagani e Silvia Truzzi

A trent’anni è tutto ancora intero.”Cazzo, vaffanculo”: Riccardo Scamarcio ha ancora passione e un lampo negli occhi per parlare di politica nella post-Italia che gli sta attorno.
Compassione no. Di fronte al Colosseo, tra la gay street, i Fori Imperiali e le sirene delle ambulanze, le ragazze omaggiano il loro monumento. “Te posso fa’ ‘na foto? E quanno me’ ricapita, ahò?”.
Lui gioca a un’impossibile semplicità. Sigaretta, capelli fuori posto, sciarpa da esistenzialista, l’aria di chi si è svegliato da poco. “Ho appena scaricato un albero di Natale, l’ho scelto io al vivaio”.
Mentre parla agita le mani, si vede che le usa per frugare il mondo. Sgrana gli occhi, il suo biglietto da visita. Cerca le parole, dimentica ciò che rappresenta. Solo quindici anni fa, collezionava bocciature in istituti tecnici di Andria.
“A scuola ero un disastro. Al terzo cambio di indirizzo mio padre si stancò. Faceva il rappresentante, si alzava alle quattro e mezza di mattina. Iniziò a portarmi con lui. Sceglieva la merce per una serie sterminata di aziende. Ramo carni: mi mise nel reparto polli. Sezionavo cosce, ali, petti. Poi ‘invaschettavo’. Tutti i giorni, gratis, per un anno. Gli amici di quell’epoca: Enzo – il ‘cane’ – Maurizio, sono ancora le persone che frequento oggi. Poi mi stancai e decisi di fare l’attore. A spingermi ad andare via fu un disagio fortissimo”.
Il treno l’ha preso e ha fatto bene. Prima, parlava strano. “Quando sono arrivato a Roma ho fatto una scuola di dizione. Pronunciavo la ‘o’ chiusa. Mandarla via, un casino. Sono un ragazzo normale, egoista, diffidente, pazzo del mio mestiere. Della fama me ne fotto, vivo la mia città, vado in giro, faccio la spesa e ammiro i contestatori come Piero Ricca. Stupiti?”.

Un ragazzo normale: orizzonte deludente, per chi la vede solo come oggetto del desiderio.

È una definizione ingannevole. Il sesso oggi è ovunque. La televisione lancia continuamente messaggi subliminali, spoglia le donne ben oltre la nudità. Le mette in una cornice angusta, di sola utilizzazione. In questo processo, la fantasia diminuisce e aumenta la fruibilità.

Con quali risultati?

Il killeraggio del desiderio. Ed è un processo irreversibile. L’unica ottica tra uomo e donna pare essere quella di uno scambio svilente. In quest’offerta senza luci, si nasconde anche la violenza.

Tema attuale.

L’immaginazione in questo momento deve fare dei giri strani per sopravvivere. Cogliere aspetti bizzarri per poter essere veramente fantasiosa. Rimorchiare in discoteca, per capirci, non basta più. Non sono un moralista ma sono uno che possiede un’etica che è una cosa molto diversa. Sono liberale ma non liberista, idealista ma non ideologico. In Italia si fa spesso una confusione voluta e si tende a gettare il bambino con l’acqua sporca. Sarebbe meglio analizzare, approfondire. Anche avere curiosità.

La sessualità ai margini la affascina?

Non sono mai andato a trans, se questa è la domanda. Ma non mi turba l’idea che qualcuno sia attratto da quel mondo. Parliamo di Marrazzo? Il suo è un legittimo orientamento sessuale verso qualcosa di insolito e, comunque, completamente personale.

Con una stridente valenza pubblica, però.

È stato molto incauto perché ci è andato con l’auto blu, a Roma capitale d’Italia e della regione che amministrava. Un uomo politico non può fare come cazzo gli pare. Si espone alla strumentalizzazione e Marrazzo, questo, lo sapeva bene.

Ne è certo?

Sicuro. Altrimenti l’avrebbe fatto alla luce del sole. La perversione, l’azzardo e il rischio di essere scoperto hanno recitato un ruolo fondamentale. La morale del paese e la comunità vedono con sospetto l’allontanamento dai costumi accettati come normali. Detto questo, a scandalizzarmi è stato altro.

Cioè?

La mancanza di spina dorsale. Scrivere una lettera al Papa, cercare riparo in convento, chiedere scusa. Ti hanno scoperto, cerca almeno di sostenere il peso delle tue scelte. È il doppio percorso ad essere inaccettabile e mi dispiace dirlo, imperdonabile.

Giudizio senza appello.

Ovunque ti giri trionfa l’ipocrisia. Berlusconi, ad esempio, nessuno ammette di votarlo e poi lo votano tutti. Chi ha potere convive con lo stress e per sostenere quel peso, evidentemente, ha bisogno di evadere. Nei nostri politici si nasconde una zona di estrema fragilità, hanno bisogno di essere consolati da qualcuno e necessità di ritornare bambini.

Peccare, anche?

Questa debolezza repressa si incammina su strade piene di rischi. Invece di assaporare il cinema, la cultura, la poesia, il teatro, la danza, la musica – l’unico humus che riequilibra gli uomini – cercano altro. Ma è un errore. Perché sono proprio quelli i luoghi in cui tutto è possibile senza giudizio, in cui sui mette in scena la vita, in cui gli uomini analizzano e comprendono se stessi. Sapendolo, vivrebbero meglio.

Difficile aspettarselo in un paese in cui il ministro Bondi, lamenta il disprezzo del mondo della cultura e etichetta gli artisti indifferentemente come servi o lacchè.

Se questo governo avesse fatto qualcosa di buono, non credo che i miei colleghi sarebbero stati indisposti a riconoscerlo. Il ministro, più che arrabbiarsi o piangere sul pubblico ludibrio dovrebbe trovare soluzioni. Io non lo disprezzo, penso soltanto sia inadeguato a rivestire la carica che ricopre. Sul film di De Maria, “La Prima Linea”, Bondi ha detto cose terribili senza averlo visto e scavalcando le prerogative della apposita commissione che si occupa di erogare i fondi. In un paese democratico, basterebbe questo per chiederne le dimissioni. Poi, certo, c’è di peggio.

Dica.

Bondi è più gentile di Brunetta, altro rappresentante della Repubblica che a Venezia ha parlato di culturame. Dando alla sinistra e agli artisti la soave definizione di merde. La cultura è importante e ha bisogno di finanziamento pubblico, non c’è un’altra possibilità. I soldi, tra l’altro, se li prendono i produttori.

Ci vorrebbero proposte per il settore.

Ne abbiamo elaborate di serissime. A partire da una legge francese che avevamo proposto di mutuare e che costringe le produzioni straniere a lasciare una piccola parte degli introiti provenienti dalla sala, per implementare il fondo unico dello spettacolo. Da noi sarebbe bastato che gli americani, capaci di egemonizzare il nostro cinema, avessero lasciato una piccola fetta della loro ricchezza per consentire al sistema di autosostenersi. Niente da fare.

Vi hanno accusato di protezionismo?

Balle. Sarebbe stata una legge liberale e non liberista, perché nel liberismo vince il più forte, sempre. Con i cinesi, è accaduta la stessa cosa. Per anni abbiamo invaso il loro territorio, producendo merce a zero lire, per rivenderla decuplicata da noi. I cinesi che ce l’hanno consentito per apprendere il know-how, ora si sono svegliati e adesso l’unica preoccupazione è l’invasione del mercato da parte dell’Asia. Un allarme insensato, di stampo vagamente razziale. (Qui Scamarcio veleggia tra Sordi e Verdone: E che volete voi? Eh che siete matti? Pussa via i cinesi. Ride).

La politica è rimasta una passione?

Per un certo lasso di tempo, ho ingenuamente supposto che si stesse meglio quando stavamo peggio. Che forse prima c’era una politica più corretta. Ho capito che non è così. In Italia non è cambiato nulla e provo rabbia verso questa classe dirigente senza etica e questo governo che ha anestetizzato il paese, in cui c’è il trionfo del qualunquismo e la sconfitta della meritocrazia.

Crede nella competizione?

Gli esseri umani non possono farne a meno. È una questione filosofica. Io sono un artista che mette tutto se stesso in quello che fa, per scoprire chi è. Sono un vero ego-ista. È solo spendendo tutto quello che hai, e se gli déi vogliono, che riesci a creare qualcosa di autenticamente rappresentativo. Che sia davvero universale. Altrimenti è una cazzata.

da Il Fatto Quotidiano del 12 dicembre

 

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