Ha ragione Barbara Spinelli quando dice al Fatto che la deriva psichiatrica dei dittatori non è di nessun aiuto per le vittime delle dittature.
Berlusconi
non è ancora Mussolini (là fu tragedia, qua è farsa) ma gli interrogativi sull’equilibrio mentale del premier non mancano. Veronica, nella famosa lettera di predivorzio raccontava di aver chiesto invano ad amici e cortigiani di stare vicini al marito perché “non stava bene”.
Ieri, sul Corriere della Sera, benché sapientemente occultata, colpiva una frase del presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a proposito delle “sortite inqualificabili” del premier. Si è chiesto Ciampi, personalità di misuratissimo linguaggio se Berlusconi sia “pienamente padrone di sé”.
Domanda che in qualche modo contiene già la risposta. Non essere in sé significa perdere il controllo dei propri nervi e delle proprie parole. Può accadere a tutti nella vita. Più preoccupante se questa improvvisa furia si manifesta nella persona di un presidente del Consiglio mentre interviene in un consesso internazionale.
Perché ancora di più se ascoltati dal vivo gli attacchi del premier
 
appaiono effettivamente come li ha definiti Napolitano, e cioè “violenti”.
Ovvero: come di chi si comporta “con istintiva e incontrollata aggressività” (Devoto-Oli).
Ora, l’aggressività di Berlusconi non è più affar suo ma è affar nostro nel momento in cui le accuse scagliate contro il capo dello Stato e la Corte costituzionale, oltre a farci ridere dietro da tutto il mondo, possono creare nel paese un clima eversivo verso le più alte istituzioni.
E se fosse proprio questo il disegno? E se in quella follia ci fosse del metodo?

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