Siccome non abbiamo appartenenze di partito, ma siamo fatti anche noi di carne e sangue, in redazione ne abbiamo discusso a lungo, fin da quando è scoppiato il caso. Piero Marrazzo era indubitabilmente vittima di un ricatto, ma doveva dimettersi o no? Alcuni di noi (tra cui chi scrive) erano più draconiani: sì, lo deve fare subito. Altri lo erano di meno, soprattutto perché molto preoccupati (giustamente) di una politica combattuta a colpi di dossier, dalla possibilità di scalzare leader eletti a colpi di video e di veleni. Ma ieri (quando dal cilindro degli azzeccagarbugli è saltata fuori la soluzione delle dimissioni che non dimettono, o meglio dell’”autospensione” che serve unicamente a congelare una giunta) i dirigenti del Pd sono riusciti a metterci tutti d’accordo. Una “manfrina”, la definisce Marco Travaglio nel suo editoriale. Come dagli torto? O uno si dimette e se ne va davvero (se ha il fegato per farlo), oppure non si dimette (se ha il fegato per farlo).

La scusa con cui si supera questo banale sillogismo, quella che così la giunta può rimanere in vita, non mi convince: se non altro perché la legge parla chiaro. Al contrario di quanto accade per le elezioni politiche, nelle regioni il presidente viene eletto direttamente. Se cade, tutta la giunta se ne deve andare a casa. Quanti cittadini del Lazio sanno chi diavolo sia Esterino Montino? (Si accettano scommesse). Quanto a Marrazzo, Antonio Padellaro lo aveva scritto in modo molto chiaro nel suo editoriale di ieri: “Resta sacrosanta la tutela della vita privata di un uomo e dei suoi cari. Non però la protezione di un uomo e di una candidatura”. Malgrado tutto quello che è accaduto c’è poco da aggiungere a queste parole, perfettamente misurate.

Ma, ovviamente, il caso Marrazzo ci ha posto altri dubbi che ci piacerebbe girare a voi per sapere cosa ne pensate. Il primo: cosa c’è dietro la solitudine di questi leader, che sembrano trovare gratificazione solo in una vita parallela e in una dimensione sessuale diversa da quella che manifestano in pubblico (a tratti disperata)? In una intervista che pubblichiamo domani Rosy Bindi ci dice che esiste una questione morale anche nel Pd, e che il tempo del maggioritario e degli incarichi monocratici ha sradicato i leader dalla realtà in cui vivevano. Aggiuinge la Bindi che i paracadutati finiscono nel tritacarne della politica e troppo spesso crollano sotto il peso di una professione totalizzante. Che non ci si può improvvisare. E’ sicuramente vero.

Seconda domanda, sempre su Marrazzo e sulla sua battaglia disperata: era proprio necessario perdere una intera giornata a ripetere che era tutta una bufala, dopo che si era già ammesso tutto davanti al magistrato? Dire che il filmino non esisteva dopo aver spiegato il perché e il per come? Inventarsi che gli assegni non erano firmati da lui, dopo aver ammesso di averli pagati agli inquirenti? Stupisce la vista corta di molti politici che (anche a sinistra) preferiscono vivere alla giornata, tenersi sempre e comunque imbullonati fino all’ultimo minuto utile (non ci siamo scordati il mitico Villari). Questo sforzo non impedisce che i destini si compiano, ovviamente. Ma mettono in difficoltà gli elettori che hanno creduto in loro e nel partito che li ha candidati. Quando i riflettori sull’inchiesta si saranno spenti sarà il caso di ripartire da queste, e dalle altre domande per una riflessione più seria senza cui non c’è via di uscita dalla crisi della politica.

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Il blog di Luca Telese

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