La settimana scorsa sono stata convocata dall’insegnante di religione della scuola materna di mia figlia, che non fa religione. Per un quarto d’ora ha tentato di spiegarmi la sua tecnica di insegnamento. “Stia tranquilla -tentava di rassicurarmi- io non insegno mica le preghiere!”

E vorrei vedere, i bambini hanno solo tre anni. Ma quando io le ho chiesto -provocatoriamente, non lo nego- quali religioni insegnasse, lei mi ha guardato stupita e mi ha detto: “Signora, ma non è colpa mia, è il Concordato! E comunque io racconto la storia vera di Gesù. Anzi, racconto ai bambini anche le sue tradizioni ebraiche”. Persino. Non mi ha convinto. Mia figlia continuerà a non fare religione, le sue maestre saranno costrette a farla uscire durante quell’ora e mezza e ad inventarsi nuovi giochi per lei e per quei poveri bambini come lei.

Perciò, quando ho letto della proposta dei finiani di far insegnare nelle scuole anche l’Islam, non nascondo che ho nutrito qualche speranza. Rendere “democratica” quell’ora e mezza, spiegare ai bambini che nel mondo non esiste un unico dio, o forse sì, ma che ci sono tanti modi di amarlo, raccontare storie e tradizioni che un tempo erano lontane da noi, ma che adesso sono nostre compagne di banco: tutto ciò all’improvviso mi è sembrato un sogno che si avverava. E’ durato poco. Quando mi sono svegliata, mi sono ritrovata in un’Italia opaca e razzista, con gli strali del Vaticano pronti ad abbattere anche quelle poche speranze rimaste, e un Partito democratico – che già fa i conti con la Binetti – impegnato a dividersi le poltrone, piuttosto che ad occuparsi dei problemi reali. Torno a dormire.

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