La Procura indaga sullo smaltimento illecito di materiali inquinanti mentre nel Comune calabrese la gente muore

di Rosa Praticò

È una strada stretta via Montebianco. Lunga poco più di 100 metri. Una palazzina dietro l’altra. Una ventina di famiglie. Ognuna con il suo morto o il suo ammalato di cancro. Dieci vittime dal 2000 ad oggi. E 25 persone che lottano ancora contro il tumore. Siamo ad Amantea, costa tirrenica della Calabria. A circa 5 chilometri dal torrente Oliva oggetto dell’inchiesta della procura di Paola sullo smaltimento illecito di materiali inquinanti. Sulla spiaggia vicino, diciannove anni fa, si è arenata la Jolly Rosso, nella lista delle cosiddette navi dei veleni.

In via Montebianco sono andati gli esperti dell’Arpacal, l’agenzia regionale per la protezione ambientale della regione, e quelli dell’Asp, l’azienda sanitaria provinciale di Cosenza. “Non abbiamo trovato nessun riscontro scientifico alle notizie allarmistiche” assicura l’allora dirigente dell’Asp, Piero Borsani.

Ma Adriano Bruni, 34 anni, non si rassegna. Ha visto troppa gente morire. Ultima sua madre, a maggio. Aveva solo 55 anni. “Qualcuno mi ha consigliato di stare zitto – confessa – perché danneggio l’immagine del paese e allontano i turisti. Ma io vado avanti, ci deve essere per forza qualcosa sotto”. Lo sguardo va alla fabbrica abbandonata con il tetto in eternit “mai bonificata”, dice. Va alla sottostazione ferroviaria “per anni zeppa di amianto” . E poi a uno dei palazzi più recenti “costruito dove prima c’era un deposito di vecchie auto con tanto di barili d’olio e batterie scariche”, continua Adriano, che ha fondato il ‘Comitato per la vita’. Con il sostegno di una cinquantina di persone. Ma all’associazione mancano i soldi per chiedere “la perizia di qualcuno che venga da fuori, qualcuno super partes con il curriculum giusto”. Il Comune di Amantea, a quanto pare, aveva stanziato dei fondi “ma poi è stato sciolto per infiltrazioni mafiose e non si è fatto nulla”. L’avvocato dell’associazione, Salvatore Politano, spiega: “nessuna delle autorità competenti vuole sciogliere i nostri dubbi, anzi una dottoressa del dipartimento prevenzione dell’Asp ha addirittura consigliato ai miei assistiti di curare meglio l’alimentazione”. Soltanto qualche giorno fa ci sono stati nuovi rilievi dell’Arpacal e dei carabinieri di Amantea.

Li ha richiesti il nuovo procuratore di Paola, Bruno Giordano. Un’attività di monitoraggio. Perché come dice Tonino, che in via Montebianco ha un magazzino, “ormai da queste parti si sente solo parlare di morti e ammalati di cancro”.
In effetti in tutto il tirreno cosentino negli ultimi 15 anni c’è stato “un aumento esponenziale” di questi casi. A dirlo è Gianfranco Filippelli, responsabile del reparto di oncologia dell’ospedale di Paola, un osservatorio privilegiato. “Abbiamo registrato – spiega – in particolare più tumori al colon e alla mammella. Per quelli all’intestino siamo alla soglia dell’epidemia: tutto è legato all’inquinamento globale di questo territorio”.

Il consulente della procura di Paola, Giacomo Brancati va oltre. E dice: “Nell’analisi che ho condotto, nelle zone prospicienti al torrente Oliva ho registrato un numero di tumori maggiore che in altri luoghi della regione. Parlo anche di quelli alla tiroide, per i quali c’è una correlazione netta molto alta con la presenza di sostanze radioattive“. Brancati fa riferimento ad alcune frazioni dei comuni di Serra d’Aiello, Aiello Calabro, San Pietro in Amantea ed Amantea. Proprio quelle in cui è emersa la presenza di metalli pesanti e residui nucleari non naturali come il Cesio 137, interrato a pochi metri di profondità. Non solo. Sempre dalle analisi disposte dalla Procura di Paola è venuto fuori che, in una vecchia cava dismessa sulla strada di Serra d’Ajello, le radiazioni superano fino a cinque volte i livelli normali. “Sembrerebbe esserci un nesso tra questo materiale nocivo e un trend superiore nell’andamento delle malattie tumorali nell’area considerata. Con un picco avvenuto tra la fine degli anni ‘80, i primi anni ‘Novanta ‘90 e l’ inizio di questo decennio”, commenta il procuratore Bruno Giordano.

Ma Brancati tiene a precisare che già nel 2005 aveva suggerito all’azienda sanitaria locale un’indagine epidemiologica di campo e la bonifica del territorio. Cosa che oggi chiedono nuovamente le associazioni ambientaliste e i comitati cittadini. Quello nato in memoria di Natale De Grazia, il capitano della Marina morto in circostanze piuttosto strane mentre indagava sulle navi, ha dato il via ad una petizione. E ha già raccolto più di 4 mila firme.

da Il Fatto Quotidiano n°20 del 15 ottobre 2009