Scrive Littorio Feltri
nell’editoriale d’esordio sul Giornale che è tornato a dirigere dopo averlo
lasciato nel dicembre del 1997: “Con il cuore, non me n’ero mai andato”.
Uahahahahahah. Feltri se ne andò 12 anni fa dopo che il Cavaliere aveva
definito “incidente gravissimo” il suo articolo di prima pagina in cui chiedeva
scusa a Di Pietro per averlo calunniato per due anni con le fandonie su
inesistenti tangenti di D’Adamo e Pacini Battaglia: “Caro Di Pietro, ti stimavo
e non ho cambiato idea”. Seguivano due paginoni in cui il Giornale di Feltri si
rimangiava quei due anni di campagne antidipietriste: “Dissolto il grande
mistero: non c’è il tesoro di Di Pietro”, “Di Pietro è immacolato”, “dei
famigerati miliardi di Pacini” non ha visto una lira, dunque la campagna del
Giornale era tutta una “bufala”, una “ciofeca”, una “smarronata” perché
la famosa “provvista” da 5 miliardi non è mai esistita. Insomma Feltri
confessava di aver raccontato per ben due anni un sacco di balle ai suoi
lettori. E lo faceva proprio alla vigilia delle elezioni suppletive nel collegio
del Mugello, dove Di Pietro era candidato al Senato per il centrosinistra contro
Giuliano Ferrara e Sandro Curzi. In cambio di quella ritrattazione e di un
risarcimento di 700 milioni di lire, l’ex pm ritirò le querele sporte contro il
Giornale, tutte vinte in partenza. Furente Ferrara, furente Berlusconi. Così
Feltri, spintaneamente, se ne andò. Non a nascondersi, come gli sarebbe capitato
in qualunque altro paese del mondo. Ma a dirigere altri giornali: il Borghese,
il Quotidiano nazionale di Andrea Riffeser (sei mesi prima aveva dichiarato
all’Ansa: “Per carità! Conosco Riffeser da una vita e ogni volta che ci vediamo
mi dice ‘Sarebbe bello se tu venissi con noi’, ma tutto finisce lì. Non sto
trattando con nessuno. Ma tanto so già che nessuno ci crederà, comunque è
così”).

Mentre usciva dal Giornale,
Littorio sparò a palle incatenate contro i fratelli Berlusconi: “Provo un certo
fastidio: per la causa comune mi sono esposto (alla transazione con Di Pietro,
ndr), poi gli altri si sono ritirati e io sono rimasto con la mia faccina e
tutti ci hanno sputato sopra. La cosa non ha fatto per niente piacere. Così si
rompe un rapporto di fiducia… Mi sono trovato da solo e ho le ferite addosso e
il morale a terra” (Ansa,10 novembre 1997). E il Cavaliere gli diede del
bugiardo: “Feltri ha detto ultimamente qualche piccola bugia, però è ampiamente
scusato” (Ansa, 7 dicembre 1997).

Feltri ora ricorda la sua
prima esperienza (dal 1994 al ’97) di direttore del Giornale, “ereditato da
Indro Montanelli”
e si appella ai “lettori che già furono miei e di
Montanelli prima che cedesse a corteggiamenti progressisti”.
Uahahahahahah.
In realtà Montanelli non cedette ad alcun corteggiamento progressista: rimase
l’uomo libero che era sempre stato. E Feltri non ereditò un bel niente:
semplicemente prese il suo posto (dopo averlo a lungo negato) quando Berlusconi
mise in condizione Montanelli di andarsene perché non “non volevo trasformarmi
in una trombetta di Forza Italia” né Il Giornale che aveva fondato “nell’organo
di Forza Italia”, come il Cavaliere pretendeva e come Feltri voluttuosamente
accettò di fare. Montanelli, lungi dal ritenere Feltri il suo erede, lo
disprezzava profondamente. Infatti il 12 aprile 1995 dichiarò al Corriere
della sera: “Il Giornale di Feltri
confesso che non lo guardo nemmeno, per non avere dispiaceri. Mi sento come un
padre che ha un figlio drogato e preferisce non vedere. Comunque, non è la
formula ad avere successo, è la posizione: Feltri asseconda il peggio della
borghesia italiana. Sfido che trova i clienti!”.

Ma il meglio Littorio lo
dà quando racconta che ora “Il Giornale mi si è offerto garantendomi la
libertà della quale ho bisogno per lavorare”
, perché lui sarebbe
“insofferente a qualsiasi ordine di scuderia, disciplina, inquadramento
ideologico”,
e poi “questo non è mai stato un foglio di partito e il Pdl
si illude se pensa lo possa diventare. La famiglia Berlusconi e gli altri
azionisti da me si aspettano molti tranne una cosa: che trasformi Il Giornale in
un megafono di Berlusconi. Non sarei in grado. Mi manca la stoffa del
cortigiano”.
Uahahahahahah. Prima di lasciare Il Giornale nel 1997,
Feltri chiese provocatoriamente a Berlusconi di venderglielo: “Ho fatto una
proposta organica per l’acquisto del Giornale perchè non sono disposto a fare un
quotidiano di partito. Se la famiglia Berlusconi la accetterà, bene, altrimenti
potrei pensare di lasciare. Rimarrei solo a condizione di poter fare un giornale
indipendente e non, come qualcuno evidentemente sperava, l’organo di Forza
Italia o del Polo, di cui non mi frega niente. Se un deputato di Forza Italia
come Roberto Tortoli chiede le mie dimissioni e nessuno lo smentisce, vuol dire
che non è il solo a pensare che Il Giornale debba essere il quotidiano di Forza
Italia. Sono stato costretto a questo passo dopo le ultime vicende che hanno
umiliato la redazione e rischiano di far sentire al lettore l’esistenza di un
cordone ombelicale che lega Il Giornale a Forza Italia. Io invece voglio fare un
quotidiano indipendente e lo dimostrerò, quando ne avrò occasione, anche in modo
clamoroso” (Ansa, 14 novembre 1997).

Oggi, nella fretta, Feltri
dimentica di spiegare come mai a richiamarlo al Giornale sia stato un signore
che non possiede nemmeno un’azione del Giornale, cioè il presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi, scavalcando l’editore, il fratello Paolo, informato
come al solito a cose fatte. Se l’è lasciato sfuggire, come se fosse un
dettaglio insignificante, lo stesso Littorio l’altra sera nella rassegna di
regime di Cortina Incontra: “Il 30 giugno scorso ho incontrato Silvio
Berlusconi. Ogni volta che lo vedevo mi chiedeva: ‘Ma quand’è che torna al
Giornale?’. E io: ‘Sto bene dove sono’. Ma quel giorno entrò subito nei
dettagli, fece proposte concrete e alla fine mi ha convinto”. Materiale
interessante per le Authority che dovrebbero vigilare sui conflitto d’interessi,
se non fossimo in Italia.

L’ultima parte
dell’editoriale feltriano è una grandinata di insulti a Gianni Agnelli
(possibile “furfante”, “vero peccatore”) per le ultime rivelazioni sui fondi
neri in Svizzera. Una prova di coraggio da vero cuor di leone, visto che
l’Avvocato è morto da tempo. Per la verità, che la Fiat e la famiglia Agnelli
avessero montagne di soldi all’estero era già emerso nel processo intentato dai
giudici di Torino ai vertici Fiat a metà degli anni 90, concluso con la condanna
definitiva dell’allora presidente Cesare Romiti per falso in bilancio e
finanziamento illecito ai partiti. Ma all’epoca Agnelli era vivo e potente,
dunque Feltri e il Giornale difendevano a spada tratta casa Agnelli e
attaccavano i giudici che osavano processarla.

Visto che Il Giornale non
è l’organo di Forza Italia né, men che meno, il megafono di Berlusconi, Littorio
Feltri sul Giornale difende appassionatamente Papi dalle inchieste del gruppo
Repubblica-Espresso. Che strano. Nel ’97, lasciando Il Giornale, lo stesso
Feltri si profondeva in salamelecchi verso il gruppo Repubblica Espresso e il
suo editore Carlo De Benedetti: “Non ho mai litigato con nessuno, tantomeno con
De Benedetti, che ho sempre stimato e di cui credo di potermi definire da sempre
amico. Quando si sposò, fummo l’unico giornale italiano a pubblicare la sua foto
con signora. Ho ottimi rapporti anche… con Carlo Caracciolo e Eugenio Scalfari”
(Ansa, 13 novembre 1997). Come passa il tempo.

La chiusa dell’editoriale
di oggi è un capolavoro: “I neopuritani laici – scrive Feltri – non muovono
un dito per deplorare quanto sta avvenendo sul fronte fiscale”
a proposito
dei presunti fondi neri di Agnelli in barba al fisco. Invece – aggiunge –“se
un simile sospetto gravasse sulla testa di Berlusconi, i giornali non si
occuperebbero d’altro”
, anche perché “i soldi sottratti al fisco sono un
danno allo Stato, ai cittadini che sono costretti a versare puntualmente denaro
all’Agenzia delle Entrate”.
Uahahahahahah. Il fatto è che un simile sospetto
grava eccome sulla testa di Berlusconi, rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale
di Milano per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita per
svariate centinaia di milioni di euro nascosti nei paradisi fiscali. Processo
sospeso dal lodo Al Fano. Perché Littorio Feltri, questo campione della libertà
di stampa “insofferente a qualsiasi ordine di scuderia, disciplina,
inquadramento ideologico
”, questo pezzo d’uomo a cui  “manca la stoffa del
cortigiano
” non se ne occupa con una bella inchiesta sul suo Giornale libero e
bello? Uahahahahahah.

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