Roma, 8 agosto. Ignara passeggera troppo assorbita dai bagagli per leggere i giornali e dare uno sguardo alla tivù, mi presento al check-in dei voli nazionali a Fiumicino con ben un’ora e mezza di anticipo. La pur gentile hostess di terra razzola sulla tastiera per dieci minuti, dopo di che mi comunica che sono in lista d’attesa (informazione che peraltro, dato l’esito dei fatti, sospetto conoscesse sin da subito). Come sarebbe a dire lista d’attesa? Abbiamo fatto overbooking, spiega lei. Io le spiego a mia volta che vado a Ceglie Messapica a cucinare thailandese per una cena multietnica con Antonella Ricci e Vinod Sookar, che en passant mi sembra un bel messaggio contro il razzismo neanche tanto strisciante di questi tempi, visto che i miei tratti somatici non parlano asiatico e che la mia tesi è che la cucina parla il linguaggio dei gesti, non quello delle parole. La pur gentile hostess di terra annuisce, trattiene il mio bagaglio con una precaria fascetta stand by, mi instrada all’uscita A 23, “Proprio lì davanti c’è il banco della lista d’attesa, si presenti, se si libera un posto la fanno salire”. Spergiura. Il posto si libererà ma faranno salire una tale Simona o Monica del Grande Fratello, che fino all’ultimo ha bivaccato in vip lounge.

Il banco della lista d’attesa Alitalia è una fossa dei leoni al contrario, con al centro le leonesse, due poverette una mora una bionda che chissà che peccati dovevano espiare, e i cristiani tutt’intorno ad assediarle e ringhiare da fuori le gabbie, pardon, il bancone. I cristiani minacciano di chiamare il 113, o il 118 (c’è un po’ di confusione sui numeri, sarà colpa anche del jackpot del superenalotto). Le leonesse invitano a fare come meglio gli pare, ma sempre usando espressioni garbate. Sono leonesse coi nervi ben saldi, se la caverebbero anche in compagnie aeree peggiori. Svariati passeggeri lasciati a terra dal volo per Catania, digiuni di studi statistici e ignari di calcoli della probabilità, inveiscono increduli: «E pur intero pagai il prezzo di questo biglietto»… Vagli a spiegare che la fortuna è cieca e la statistica è guercia.

Un compito ricercatore di un’università di Boston, visibilmente soddisfatto di appartenere al blasonato team della fuga dei cervelli, rimpiange di non avere scelto Lufthansa per tornare a ferragosto da mammà. Due attempate sorelle catanesi, anche loro in possesso di biglietto «Pagato carissimo, mi creda» implorano «Un chiarimento, prego…» Le leonesse, anche per questione di decibel, non se le filano, nonostante le due si siano infiltrate in prima fila. Dimentica del prudente adagio ebreo “Non far del bene se non te l’hanno chiesto” invito le signore a porgere direttamente la domanda, cosa vogliono sapere? Non lo sanno, e se la prendono con me che improvvisamente appaio, anche ai miei occhi, maleducata.

Mi zittisco, e in attesa che le leonesse sbranino il Bari, mi distraggo con il Catania e il Palermo, e pure con l’Alghero e il Lamezia Terme, obiettando in cuor mio che va bene l’overbooking, però purché sia attuato con discernimento statistico, mentre qui appare improntato a un neo-sadico “lasciane a terra quanti più puoi”.

Se è vero come dicono che il sistema dell’aeroporto è andato in tilt, causando overbooking a catena, non mi è chiaro come la sola compagnia così colpita risulti Alitalia. O forse anche Alitalia è vittima delle statistiche, proprio come noi passeggeri lasciati a terra. La calca dei cristiani infuria. Alle due leonesse se ne aggiunge una terza, coi modi di una gattina costernata. Le tre fanno il possibile per far salire qualcuno a bordo, anche se talvolta i loro sforzi dividono famiglie (felicissimo l’adolescente romano che vede partire i genitori e prenderà il volo dell’indomani, ci guadagna pure 250 € di rimborso, sai che festino stanotte con gli amici rimasti in città) e separano sorelle psicologicamente siamesi (come le due catanesi del chiarimento, che arrivano a rinunciare al rimborso pur di salire sullo stesso volo). Lo spettacolo d’arte varia degli aspiranti passeggeri rifiutati e incazzati mi assorbe tanto che non mi accorgo del passare delle ore, in tutto cinque, che trascorro in piedi appoggiata al bancone, rapita dal gioco di volée come una spettatrice di Wimbledon.

A un certo punto le leonesse piegano le statistiche alla ragione: la doxa deve pur riconoscere all’episteme che un bimbo di due anni non può viaggiare da solo senza mamma e papà. Un gruppo famigliare francese si avvia trionfante all’imbarco per Cagliari capitanato dalla figlioletta di due anni in posa alla Delacroix tipo La libertà guida il popolo.

Le leonesse ogni tanto spariscono nel retro, non si sa se per iniettarsi purea di camomilla, ma la folla non infuria perché a volte, dal retro, escono brandendo una carta d’imbarco e scandendo un cognome, ché ormai partire dà un’euforia come vincere all’enalotto, è un evento scisso da cause razionali quali ad esempio l’acquisto del biglietto e la prenotazione online del posto.
Un signore di Lamezia massiccio e barbuto che aveva augurato ad Alitalia le peggio cose, pure con valore retroattivo, ritratta tutto quando le leonesse gli porgono la carta d’imbarco con relativa promessa di rivedere i suoi cari in serata.

«Ida! Ida!». E mo’ questa chi è? Circa ottanta cristiani inferociti si voltano a guardare la raccomandata che dà del tu alla leonessa e la chiama persino per nome. Eh no, favoritismi per la cognatina o l’amichetta, non è giornata… Ma la chiamante non è una raccomandata, e neppure un’amica di Ida, né la cognata. Trattasi di cittadina statunitense street smart, come dicono da quelle parti: una che se la sa cavare nelle vicissitudini della vita vissuta. Con dinamiche e tempismo newyorkese, l’astuta yankee ha letto quello che a noi italiani pare dettaglio trascurabile: la targhetta sul taschino con il nome dell’operatrice. Mentre noi la apostrofiamo con un generico facente funzioni di vocativo «Scusi», la newyorkese si è appropriata del nome, e l’ha fatta cosa (persona) propria: «Ida ma allora cosa devo fare adesso, mi metti su quello delle 20.40 o no?». Persino Ida si sorprende, fa lo sguardo di una che non riesce a scorgere l’amico da cui si è sentita chiamare, poi si ricompone e dà una risposta professionale in inglese. Non è mica scema, Ida: si difende come una leonessa anche dai tentativi di appropriarsi di lei attraverso il suo nome.

Piove sempre sul bagnato. Dall’alto, un repentino crack: la furia dell’empireo si scatena su Alitalia sotto forma di doccia. Un tubo del condizionamento si rompe d’emblée in una sorta di diluvio universale, se non proprio catartico almeno umoristico, che lava via le carte d’imbarco impilate sul bancone neanche si credesse l’Arno in piena nel ’66. La scena, più che fantozziana, è onirica: ci starebbe benissimo che un passeggero impazzito improvvisasse una doccia con saponetta e shampoo in piedi nudo sul banco Alitalia.

Ai pochi fortunati ammessi sull’ultimo volo della sera, le leonesse porgono carte d’imbarco fradicie, e compilano tra miagolii di contrizione le autorizzazioni alla riscossione del rimborso. Va da sé che quando arrivi in biglietteria, dove il bonus dovrebbe venire pagato, ti senti rispondere «Abbiamo finito il contante». Si viene congedati tutti con un bonus che qualche passeggero distratto finirà col dimenticare insieme a questa giornata, lavata via dall’ilarità di un tubo rotto e una doccia. Come nuovo logo Alitalia mi piacerebbe proporre un pulcino bagnato.

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